La guerriglia di Conte non si ferma e ora minaccia una mozione che permetta al Parlamento di votare sul tipo di armi da inviare a Kiev in polemica col ministro della Difesa

Mai in 14 mesi di governo si era visto un Draghi così conciliante, quasi cedevole, nella sostanza. L'accordo con Salvini di giovedì scorso, sempre che finisca davvero per tradursi in un nuovo art. 6 della delega fiscale, e subito dopo i ritocchi apportati dal Cdm al dl Aiuti dimostrano quanto alto sia l'allarme a palazzo Chigi, quanto venga avvertito come reale il rischio di crisi. Così a palazzo Chigi hanno provato a minimizzare le concessioni alla destra sulla delega fiscale. Esercizio inevitabile ma inutile. Salvini e Berlusconi, che ha imposto la linea dura persino a Enrico Letta sulla bandiera delle tasse sulla casa, hanno ottenuto la cancellazione del regime fiscale duale, che a loro parere avrebbe comportato aumenti delle tasse sui bot e sugli affitti. Ma soprattutto hanno ridimensionato sensibilmente la riforma del catasto: del valore patrimoniale e di mercato non si terrà conto quando, dopo il 2026, un qualche governo dovrà misurarsi con la nuova e aggiornata mappatura del catasto. Resta l'area degli immobili, che è importante soprattutto nelle città dove interi quartieri sono passati attraverso il processo definito all'americana “gentirificazione”. Si sono cioè trasformati da zone popolari ad aree abitate dal ceto medio alto o alto. Resta la mappatura degli immobili fantasma, quelli mai accatastati o accatastati come magazzini, granai ecc. per evadere le tasse. Ma il colpo messo a segno da Lega e Fi ridimensiona di molto il passo avanti sulla strada di una tassazione sugli immobili più equa.

Il Cdm, poi, ha concesso due “ritocchi” preziosi ai 5S: il bonus di 200 euro andrà anche ai percettori del Reddito di cittadinanza e soprattutto sono state di molto allentate le maglie sulla concessione del credito per il Superbonus. Se si tiene conto del fatto che appena 24 ore prima Draghi aveva preso di mira proprio il Superbonus e che proprio la concessione del credito, secondo Chigi come secondo il Mef, è il principale spiraglio attraverso il quale passano le truffe derivate dal Superbonus si mette a fuoco quanto Draghi stia cercando, per una volta, di smussare gli angoli con la sua maggioranza.

A spingere il premier in questa direzione è la consapevolezza del rischio di paralisi sui progetti e sulle riforme del Pnrr, con esiti disastrosi sull'economia italiana e su una ripresa già molto ridimensionata dalla crisi energetica e delle materie prime. Ma è anche, forse soprattutto, la percezione del rischio che la maggioranza corre sul fronte più delicato e più nevralgico, perché costantemente osservato con massima attenzione dagli alleati: quello della guerra.

La guerriglia di Conte, sempre più spalleggiato da Salvini non si ferma. La gaffe del ministro Guerini, che aveva parlato di armi per «colpire le postazioni russe» salvo poi precisare che intendeva postazioni a corto raggio, non in territorio russo, fornisce un'ulteriore argomento ai 5S che considerano la precisazione «imbarazzata» e minacciano di trovare una formula che permetta al Parlamento di votare sul tipo di armi, solo difensive, che il nostro Paese può fornire all'Ucraina. È un passaggio che il governo non solo vuole ma deve evitare a ogni costo perché in ogni caso il voto restituirebbe il quadro di una maggioranza spaccata a metà, moltiplicando all'estero la convinzione, mai del tutto superata, che proprio l'Italia sia l'anello debole dell'Unione europea.

Draghi, negli ultimi due mesi, si è sforzato in ogni modo per cancellare quel sospetto, lasciando che a esporsi anche sui fronti più critici per l'Italia, come la richiesta americana di embargo sul gas russo, fossero altri Paesi, soprattutto la Germania. Così facendo però, ha diffuso la sensazione che l'Italia si sia troppo uniformata alla strategia di Washington, moltiplicando nell'opinione pubblica dubbi sull'invio delle armi che erano già diffusi. I sondaggi registrano una maggioranza dell'opinione pubblica contraria all'invio indiscriminato delle armi e inevitabilmente rafforzano la determinazione dei partiti meno favorevoli alla strategia di Washington. Una rottura su questo fronte sarebbe per l'Italia esiziale. Per questo Draghi fa il possibile per evitare quel confronto con l'aula che dopo due mesi Conte giustamente reclama, deciso a rinviare almeno sino a dopo l'incontro con Biden. Almeno in parte è per stessa ragione che l'inflessibile premier accetta di mediare su altri fronti, nella speranza di evitare un confronto troppo ruvido, aspro e soprattutto esplicito in Parlamento sul tema della guerra. Ma per quanto possa riuscire a posporre prima o poi dovrà affrontare il Parlamento e la sua stessa maggioranza.