Marco Tarchi, politologo dell’Università di Firenze, sulla lotta per la leadership del centrodestra spiega che «Salvini negli ultimi anni ha ingoiato vari rospi e ha abbassato il proprio profilo, ma non è detto che accetti di piegarsi per l’ennesima volta ai voleri altrui» e su futuro di Forza Italia è netto: «Rischia di finire nello stesso impasse dei Républicains francesi, lacerati fra un’ala destra sovranista e una che è sempre più attratta dal progressismo di Macron».

Professor Tarchi, alla convention di Fd’I a Milano Salvini risponde con un evento simile a Roma. Come vede la lotta per la leadership tra i due alleati/ nemici del centrodestra?

Sarà un conflitto ruvido, al di là della rappresentazione mediatica che ne vorranno dare in futuro, non tanto per divergenze di progetti e visioni della società, dove le distanze, che pure esistono, sono tutt’altro che incolmabili, o di toni, che si assomigliano, anche se Meloni oggi urla più di quanto il leader leghista facesse ai tempi in cui non aveva ancora imboccato la via della ( formale) moderazione, quanto per i caratteri dei due soggetti, ambiziosi e assertivi. Certo, Salvini negli ultimi anni ha ingoiato vari rospi e ha abbassato il proprio profilo, ma non è detto che accetti di piegarsi per l’ennesima volta ai voleri altrui. Ed è forse per questo motivo che da vari mesi sembra affidarsi ad una sorta di copertura da parte di Berlusconi, riconoscendogli il ruolo di “padre nobile” della coalizione da cui ottenere, in cambio, benevolenza al momento opportuno.

Da qualche tempo a questa parte c’è poi l’anima cosiddetta “razionale” della Lega che mette in difficoltà Salvini, dalla creazione di una Lista Fedriga alla cautela di Giorgetti su un eventuale tappa del segretario a Mosca. Il tutto con i sondaggi in calo. Come si muoverà Salvini?

La logica politica avrebbe voluto che Salvini resistesse alla pressione di questa componente già ai tempi in cui premeva per la rottura del primo governo Conte. Fui, all’epoca, il primo a dire che con quella mossa suicida la Lega si sarebbe condannata al dimezzamento dei consensi ottenuti alle Europee della primavera 2019. La previsione si è avverata pienamente. È evidente, da sempre, che Giorgetti e i suoi non hanno mai creduto alla possibilità di successo autonomo di una Lega populista ( cioè fedele alla sua natura originaria) e hanno puntato tutto su un suo ruolo subordinato ma redditizio all’interno di una coalizione moderata. Se Salvini accetterà di proseguire su questa via, dovrà mettere in conto a breve termine anche una fine della sua fase di leadership: il diverso copione esige diversi attori.

In Italia c’è un 30 per cento circa di elettori che non vedono di cattivo occhio l’universo putiniano e su quello puntano M5S e Lega. In che modo lo scenario internazionale potrà cambiare gli equilibri del nostro sistema politico?

Quel 30 per cento non è, se non in misura microscopica, attratto dal culto della Grande Madre Russia o da suggestioni autoritarie. In Putin vede due tratti essenziali: l’opposizione ai principi del politicamente corretto e un ostacolo all’ambizione degli Stati Uniti di essere, come e più che in passato, l’unica potenza egemone a livello planetario. Il M5S non mi pare possa interpretare la prima delle due istanze: ai suoi tempi, Grillo era diventato il portavoce della denuncia di un certo numero di assurdità del politically correct, ma poi la sua creatura ha invertito drasticamente la rotta. La Lega invece potrebbe raccogliere consensi su quel versante, ma si è appiattita senza batter ciglio, con un analogo testacoda, sull’atlantismo. Penso quindi che né l’uno né l’altro attingerà in modo ampio a quel bacino.

Nel centrodestra c’è poi la questione Forza Italia, con Berlusconi che ha preso solo di recente le distanze da Putin e si è schierato con Macron in Francia. L’anima più liberale della coalizione sarà ancora protagonista o finirà per essere fagocitata dagli estremi?

Per essere protagonisti in una coalizione occorrono i voti. Forza Italia ne ha pochi. E non ha neanche idee chiare, divisa com’è in frammenti e clan che oscillano in un arco di convinzioni e preferenze molto ampio ed eterogeneo, che da un lato guarda con simpatia a Fratelli d’Italia e dall’altro al Partito democratico. Rischiando così di finire nello stesso impasse dei Républicains francesi, lacerati fra un’ala destra sovranista e una che è sempre più attratta dal progressismo di Macron. Con una seria prospettiva di deflagrazione al momento dell’uscita di scena di Berlusconi.

La cosiddetta quarta gamba è poi formata da centristi che vanno da Lupi a Cesa, fino a Toti, pronti in qualsiasi momento a mollare Meloni e Salvini, e magari sostenere un nuovo governo Draghi o simili. Crede che possa finire così?

La probabilità di uno scenario di questo tipo mi sembra estremamente elevata. Questi gruppi, che hanno vertici ma sono privi di basi consistenti, e quindi raccolgono soltanto routiniers del professionismo politico, vanno dove li porta il vento dei sondaggi. Fino a quando le inchieste sulle intenzioni di voto renderanno credibile il pronostico di un successo del centrodestra, resteranno lì e, se la maggioranza parlamentare sarà consistente, e soprattutto numericamente autonoma dal loro apporto, non si sposteranno. Ma se le cose dovessero andare diversamente e il loro piccolo peso dovesse diventare decisivo, si affretteranno a sciogliere l’ancora e punteranno su destinazioni diverse. Fra le quali, sicuramente, un esecutivo “tecnico” sarebbe la soluzione più gradita, perché non li assocerebbe ad un’immagine troppo spostata a sinistra e lascerebbe loro mani libere per eventuali successivi cambiamenti di rotta.