L’intervista al ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, nella trasmissione di Rete4, “Zona Bianca”, ha provocato reazioni contrastanti. C’è chi l’ha definita lo scoop dell’anno, chi, invece, un gesto di accondiscendenza verso la Russia di Putin. Giuseppe Brindisi, giornalista e conduttore di “Zona Bianca”, non si cura delle critiche e va avanti per la sua strada. E dice al Dubbio: «Gli scoop non finiscono con Lavrov, dato che posso contare su una redazione fantastica».

Quanto è stato impegnativo entrare in contatto con lo staff di Lavrov e realizzare la famosa intervista?

Abbiamo prima avuto un link con la sua portavoce, Maria Zakharova, che abbiamo intervistato la domenica prima. Dopo averla intervistata, abbiamo continuato il lavoro ai fianchi per cercare di avere il ministro. Evidentemente, siamo riusciti a convincerlo sul fatto che eravamo interlocutori attendibili. Intorno al martedì della settimana scorsa abbiamo avuto una prima, timida promessa che qualcosa si sarebbe fatto. Nei giorni successivi la cosa è stata perfezionata. Non le nascondo che fino a quando non ho visto Lavrov dietro la sua scrivania, dopo mille prove e mille collegamenti per perfezionare ogni dettaglio, non credevo che avremmo fatto tutto. Quando poi Lavrov si è seduto e ha incominciato a parlare, ho capito che avremmo potuto proseguire.

Le domande sono state concordate con lo staff di Lavrov? Avete ricevuto delle richieste particolari?

Abbiamo avuto soltanto due richieste. La prima, e le assicuro che per intervistare politici molto meno importanti spesso abbiamo molte richieste irricevibili, è stata quella di avere dei main topics. Abbiamo sottoposto gli argomenti principali sui quali abbiamo avuto la facoltà di spaziare come volevamo, senza nessuna limitazione. Una richiesta specifica, poi, ha riguardato l’editing. Ci hanno chiesto da Mosca di non toccare in alcun modo quella che sarebbe stata l’intervista finale. Noi abbiamo chiesto la diretta, Lavrov per la domenica aveva impegni e abbiamo trovato un accordo su una diretta registrata. L’abbiamo registrata così come è stata fatta, senza che venisse toccata ed è stata trasmessa integralmente.

Alla fine è venuto fuori uno scoop mondiale. Come spesso succede per le cose importanti, che fanno parlare molto, si sono create due diverse scuole di pensiero. Ci sono state delle critiche che l’hanno colpita particolarmente? Ci sono stati degli apprezzamenti che la inorgogliscono?

Parto dagli apprezzamenti. Quando maestri, io li considero tali, come Enrico Mentana, che è stato il mio direttore, Paolo Mieli, Maurizio Costanzo, Carlo Rossella, Michele Santoro, ti dicono che hai fatto uno scoop mondiale e che hai fatto bene il tuo lavoro, le critiche distruttive diventano fuffa. Io so che l’intervista a Lavrov ha generato molte invidie. Il mio approccio è stato sempre lo stesso: essere obiettivo e avere onestà intellettuale. L’intervista dei giorni scorsi resterà nelle pagine del nostro giornalismo a prescindere da come andrà a finire in Ucraina. Le critiche e i commenti dei colleghi mi toccano il giusto. Una cosa però mi ha inquietato.

A cosa si riferisce?

A due commenti in particolare. Il primo è stato quello del segretario del Pd, Entico Letta, che chiede una specie di censura su una operazione giornalistica fatta con un uomo del quale si criticano gli atteggiamenti censori del suo Paese. Mi ha inquietato inoltre sentire dire dal presidente del Consiglio Draghi che l’intervista è stata senza contraddittorio. Temo, però, che l’intervista di Lavrov a “Zona Bianca” gli sia stata raccontata.

Infatti, tanti sottolineano proprio la mancanza di contraddittorio durante l’intervista…

Non è così. Io ho fatto sedici domande a Lavrov più quattro interlocuzioni. Da queste quattro interlocuzioni, soprattutto, sono venute fuori le cose di cui si sta discutendo in tutto il mondo. Ho fatto il mio lavoro e credo di averlo fatto al meglio nel rispetto della deontologia professionale, senza nessun sotto- testo. Il presidente Draghi dice che gli vengono strani pensieri. Faccia conoscere i pensieri che gli vengono in mente.

Oltre alla mancanza di contraddittorio, un’altra critica riguarda il fatto che Lavrov è stato protagonista di un monologo. Cosa risponde?

Due sono le cose. O non conosco io il vocabolario o non lo conoscono quelli che mi attaccano. Monologo, comizio. Queste le parole più ricorrenti dopo l’intervista. Io ho avuto quaranta minuti di tempo nei quali ho fatto venti domande, sedici dirette, quattro, come si dice in gergo, andandoci sopra. Se non è un contraddittorio questo. Ma voglio aggiungere e rivendicare un’altra cosa.

Prego, dica pure…

Io non devo mettermi l’elmetto. Io devo portare a casa le notizie. Quando uno dice qualcosa che non va e mi interessa farglielo notare, lo sottolineo, come ho fatto per Bucha e a proposito del tema della denazificazione dell’Ucraina. Proprio da quelle mie interlocuzioni sono arrivate le notizie sulle quali si discute di più. Tenuto conto delle difficoltà della traduzione, io credo di aver fatto il mio mestiere, che consiste nel portare le notizie e non dichiarare guerra alla Russia. Ci sono altri che dichiarano guerra o fanno affari con i russi o li hanno fatti e li faranno ancora. Io devo rendere conto dei fatti. Le mie considerazioni le posso fare con una smorfia, con il linguaggio del mio corpo. Si stava intervistando il ministro degli Esteri delle Federazione Russa non il sindaco dell’ultimo paesino di montagna. Ma anche in quest’ultimo caso io mi comporterei con lo stesso garbo, con la stessa educazione e con la stessa professionalità.

Ci sono parti dell’intervista a Lavrov che avrebbe voluto affrontare diversamente?

No, assolutamente no. Se avessi avuto più tempo, avrei fatto altre domande. Avrei voluto approfondire alcuni aspetti sugli sviluppi della guerra o il tema, anche se ci ho provato nel corso dell’intervista, dei rapporti tra Italia e Russia. In quaranta minuti, di fronte ad un interlocutore che fornisce lunghe risposte, non hai la possibilità di intervenire come vorresti. Molti, quando mi criticano, tirano fuori il paragone dell’intervista sulla Cnn di Christiane Amanpour a Peskov, dove la prima si è arrabbiata con il suo intervistato. Ognuno ha il suo stile.