Le istituzioni europee sono ormai «inadeguate per la realtà in cui siamo», occorre rivedere i Trattati «con coraggio e fiducia» ha detto il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi nel discorso con il quale è tornato, dopo tre anni, alla plenaria del Parlamento di Strasburgo. Nel mirino c’è ovviamente anzitutto il meccanismo decisionale, l’unanimità che i 27 devono raggiungere nelle scelte cruciali dell’Unione va sostituita con la maggioranza qualificata. Ma riformare i Trattati significa anzitutto revisionare il Patto di Stabilità.

La discussione era a buon punto, lanciata prima di Natale da un intervento a doppia firma Draghi-Macron sul Financial Times, e ( anche) in quanto presidente di turno del semestre europeo Emmanuel Macron si apprestava a tenere ai primi di marzo, in quel di Versailles, una titanica conferenza sul “Futuro dell’Europa” che avrebbe aperto le danze. La guerra in Ucraina ha poi fatto saltare in quel consesso l’ordine delle priorità, facendo slittare in cima alla lista l’emergenza bellica e quella dell’approvvigionamento energetico, essendo che l’eurozona dipende in questo dalla Russia per una media del 45 per cento.

Ma la riforma del Patto di Stabilità resta cruciale, e incrocia in maniera strategica proprio la revisione dei meccanismi decisionali del Consiglio Europeo, il consesso che delle politiche europee è di fatto l’esecutivo. Il Patto ha avuto una sospensione, con l’istituzione dei fondi Recovery per fronteggiare la gravissima crisi economica innescata dalla pandemia, ma se tornasse in vigore, come previsto, nel gennaio del 2023, se insomma quelle regole non fossero riscritte ci troveremmo ancora in futuro con i governi che applicano principi dannosi per il benessere di cittadini e imprese: con norme dagli effetti pro- ciclici, e cioè che di fatto invitano a spendere negli anni di crescita e a risparmiare negli anni di crisi, invece di fare quel che avrebbe potuto permettere di combattere le crisi: il contrario. E cambiare il Patto di Stabilità, che tuttora imporrebbe di ridurre di un ventesimo l’anno il deficit e di tenere il rapporto debito/ Pil al 60 per cento (nessun Paese è in queste condizioni) è vitale naturalmente anzitutto per l’Italia, che ha come tristemente noto il debito più pesante di tutti (e per questo ogni volta che comunica i ristori approvati in Consiglio dei ministri, Draghi sottolinea sempre che sono fatti senza aggravamento del debito).

Il dossier della riforma del Patto di Stabilità è sul tavolo di Paolo Gentiloni, che nella Commissione ha la delega all’Economia. La proposta Draghi-Macron (sulla scorta delle idee dei rispettivi consiglieri economici, per l’Italia si tratta di Francesco Giavazzi) è creare un’Agenzia del Debito europea alla quale trasferire il debito degli Stati, scorporando dal calcolo dei debiti pubblici le spese che gli Stati hanno effettuato per investimenti. I titoli emessi dai vari Paesi per far fronte alla pandemia verrebbero trasferiti dalla Bce a un’apposita Agenzia.

Per l’Italia, l’Agenzia acquisterebbe, congelandolo, ogni anno di qui al 2026 debito per 68 miliardi di euro: e cioè 340 miliardi, il 19 per cento circa del Pil (e simmetricamente il 24 per cento di quello spagnolo, il 17,8 di quello francese, il 12,6 di quello tedesco). Si tratta di “debito Covid”, ma ad esso si potrebbe aggiungere quello contratto durante la crisi finanziaria del 2008- 2009. Parallelamente, dalle spese annuali degli Stati, ci sarebbe sì un tetto alla spesa primaria, ma scorporando attraverso una “golden rule” le spese per investimenti ( quelle che garantiscono la crescita). Nelle previsioni, in questo modo il debito italiano scenderebbe al 110 per cento nel 2031.

Naturalmente, non tutti i 27 sono d’accordo: ci sono resistenze dei Paesi cosiddetti “rigoristi”, come l’Olanda, gli scandinavi, i baltici, e anche in parte della stessa Germania. Una via per cercare la mediazione sta nella proposta di stabilire che non vi sia un Patto, una regola comune (dunque, però, violando quella cornice comunitaria che prevede cessioni di sovranità nazionale, in vista della «nuova Europa di federalismo pragmatico», per dirla come l’ha detta Draghi a Strasburgo) ma che ogni Paese abbia il proprio piano di “aggiustamento” di bilancio. E questo, notano alcuni degli economisti e dei politici al lavoro sul dossier, è quel che in realtà è stato anche fatto con le regole di Maastricht: così severe e rigide da non esser mai state davvero applicate.

Nelle due variabili che si prospettano, e che costituiscono anche i due faldoni principali sul tavolo di Paolo Gentiloni a Bruxelles, incide moltissimo il meccanismo decisionale: se il Consiglio Europeo deve decidere con la regola dell’unanimità, l’unica speranza di revisione del Patto di Stabilità sta nella seconda proposta. Se invece - come ha fatto capire Draghi a Strasburgo - si passasse a votazioni per maggioranza qualificata Maastricht andrebbe davvero in soffitta, ci sarebbe la possibilità di una vera riforma della normativa di bilancio. E, soprattutto, la Ue potrebbe percorrere, ben oltre l’emergenza da pandemia, politiche economiche anti- cicliche: le uniche che possano garantire quel benessere sociale - leggi crescita economica - che è motivo fondante dell’Unione.

La seconda ipotesi - ritagliare regole Paese per Paese - presenta anche alcune questioni: si rientra dal debito con diverse velocità, o ci si baserebbe caso per caso sulla sostenibilità del debito di quel preciso Paese? Questo, di nuovo, metterebbe in questione quella che Giavazzi chiama la «common fiscal capacity»: come dire che si andrebbe in una direzione di marcia opposta a un’Europa con una comune politica economica.

Comunque sia, che si vada in direzione di piani di rientro del debito nazionale, magari portando la riduzione del debito a orizzonti più lontani possibile - dato anche che quest’anno la media europea è del 98 per cento, contro il 60 che prevedrebbe il Patto di Maastricht - o che Macron e Draghi riescano a far passare la loro Agenzia, quelle regole che hanno imbrigliato la crescita e fatto da amplificatore alla crisi, usciranno di scena. E solo allora si aprirà davvero una pagina nuova per l’Europa.