Quando ha preso la parola di fronte al Parlamento europeo di Strasburgo, due giorni fa, Mario Draghi era perfettamente consapevole di rivolgersi non solo ai parlamentari europei ma anche a quelli italiani. Il grosso dell'intervento è stato dedicato a illustrare la sua strategia che mira a trasformare eventi fortemente negativi come la guerra in Ucraina e la conseguente crisi in occasione preziosa per raggiungere invece traguardi positivi sulla strada dell'integrazione europea. In merito il premier italiano si è costantemente mosso su un doppio binario, prendendo di petto i nodi dell'attuale crisi, dalla difesa comune alla lentezza nel processo decisionale, dalla necessità di sostenere i Paesi penalizzati dalle sanzioni all'ondata di profughi, ma con l'obiettivo di segnare pietre miliari a lungo termine verso quello che lui stesso ha definito «un federalismo pragmatico».

Era quel che ci si aspettava e in realtà Draghi si è limitato a sistematizzare e correlare alla crisi in corso la sua ricetta, senza nascondere l'obiettivo di arrivare in questo modo a una modifica profonda e non contingenziale dei trattati che regolano l'Unione. Però, sia nel discorso che nella replica, il premier italiano ha anche risposto a quanti, in Italia, chiedono di chiarire con quali obiettivi l'Italia fornisce armi all'Ucraina, se miri insomma solo a difendere il Paese aggredito oppure anche, come l'amministrazione di Washington, a «indebolire la Russia in modo che non rappresenti più una minaccia». Cioè di fatto se l'obiettivo sia la caduta di Putin.

L'ambiguità è reale. I Paesi più importanti della Ue da un lato, Usa, Uk e alcuni Paesi della stessa Unione dall'altro, parlano lingue solo in apparenza identiche. Hanno interessi e dunque strategie diverse se non nell'immediato almeno negli orizzonti e nelle prospettive. Questo chiedono i 5S e LeU a Draghi di chiarire di fronte al Parlamento italiano e probabilmente non resteranno gli unici. Draghi ripeterà quel che ha detto a Strasburgo: «L'Europa può e deve avere un ruolo centrale nel favorire il dialogo. L'Italia è pronta a impegnarsi in prima linea per favorire una soluzione diplomatica». È una linea molto diversa, per certi versi opposta, a quella anglo-americana, ed è la prima volta che lo scarto viene esplicitato tanto apertamente. Dunque quella parte della maggioranza, in realtà quasi tutta, sempre più innervosita dalle ambiguità americane e inglesi sui veri scopi dell'appoggio all'Ucraina otterrà piena soddisfazione.

Allo stesso tempo Draghi resterà però fermissimo sulla disponibilità italiana ad aderire a qualsiasi sanzione la Ue decida di comminare, fosse pure quell'embargo sul gas che pur creerebbe problemi enormi alla nostra economia, e sul rifornimento di armi, senza dover più chiedere permessi al Parlamento, almeno sino al prossimo 31 dicembre, e senza specificare di quali armi si tratti essendo stato apposto il segreto di Stato. È la linea del premier italiano: dimostrare una fedeltà inappuntabile, estrema, per aver voce in capitolo sulla strategia e sulle finalità.

In realtà Draghi si è rivolto anche a un altro interlocutore, mai citato. È probabile che una parte del suo discorso fosse un messaggio preciso lanciato a Putin. Il premier italiano ha detto chiaramente che la Ue «può e deve» avere un ruolo autonomo nello scenario della crisi, «può e deve» favorire la trattativa e la soluzione negoziata. Ma perché sia in grado di farlo, sottraendosi alle pressioni di Washington è imprescindibile che Putin faccia tacere le armi, che accetti se non la pace almeno il cessate il fuoco «una tregua» che «darebbe nuovo spazio ai negoziati». Senza quella tregua, senza un passo da parte di Putin per la Ue sarà molto difficile sottrarsi alla tenaglia della guerra russa da un lato e della rigidità americana dall'altro.

Nella replica Draghi ha scelto di sferrare un colpo duro a Conte e ai 5S. Ha detto senza mezzi termini di essere «contrario al super bonus del 110 per cento, che triplica i prezzi». Avrebbe potuto evitarlo. Per il momento rimettere in discussine il superbonus è fuori discussione, avendo anzi appena due giorni fa il governo prorogato i termini per ottenerlo. Con la finanziaria sarà cancellato e lo sarebbe stato in ogni caso. Draghi e Franco hanno sempre ritenuto la misura- vessillo dei 5S sbagliata e controproducente. Fargliela ingoiare nell'ultima legge di bilancio è già stato molto difficile: sul tentativo di eliminare il superbonus in autunno non c'erano dunque già dubbi e non c'era alcun bisogno di parlarne ora, a Strasburgo sì ma rivolto a Roma.

Draghi ha invece voluto rispondere alla decisione dei 5S di non partecipare al voto sul dl Aiuti, ultimo atto di una guerriglia che Conte porta avanti da mesi. È una risposta dura, che non solo tiene botta di fronte alle pressioni del capo dei 5S ma rilancia e chiarisce che sul piano dello scontro il «partito di lotta e di governo» a cinque stelle non otterrà niente.