Oggi la riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario, approvata alla Camera, approda in commissione Giustizia al Senato. Si dovrebbe comprendere subito se i parlamentari si muoveranno o meno nella direzione auspicata dall’Anm, ossia quella di riaprire il dibattito per adeguare il testo alle richieste dei magistrati, o se proveranno a farlo per introdurre, ad esempio, la responsabilità civile diretta delle toghe e zero passaggi di funzioni tra giudici e pm. Dal punto di vista metodologico, modificare il ddl a Palazzo Madama significherebbe doverlo riportare alla Camera, procrastinando probabilmente a luglio il voto per il nuovo Csm. A meno che il governo, di fronte a uno scontro aspro e a un iter di nuovo complicato, ponga la questione di fiducia.

Di sicuro resta vivace il confronto tra i partiti: da una parte Italia Viva che, sul tema, si è sfilata dalla maggioranza, astenendosi alla Camera, e dall’altra la Lega che, almeno come segnale di coerenza, sarebbe intenzionata a proporre emendamenti relativi alle modifiche previste dai cinque quesiti referendari. Su quest’ultimo punto, il vicesegretario di Azione Enrico Costa ieri ha punzecchiato Matteo Salvini: «Fateci caso: ora che sarebbe il momento di spingere i referendum sulla giustizia, dai promotori c’è silenzio tombale. Temono di intestarsi una sconfitta per assenza di quorum? È adesso il momento di esserci. Perché le convinzioni vengono prima dei calcoli».

Le toghe di Magistratura democratica contro l'Anm

Intanto le divisioni riaffiorano anche all’interno dell’Anm. Ieri il segretario di Magistratura democratica, Stefano Musolino, è tornato a ribadire in una nota che, seppur «tutti consapevoli che una buona riforma è necessaria, in ordine a questa la magistratura associata, nelle interlocuzioni precedenti al licenziamento della riforma dalla commissione Giustizia alla Camera, non ha avuto un approccio adeguato alle sfide che si profilavano».

Secondo Musolino, «talune aprioristiche chiusure alle necessità riformatrici (specie in tema di ampliamento delle fonti di conoscenza per la composizione del fascicolo personale, interpretate dall’interlocutore ministeriale come istinto alla conservazione dell’esistente), l’incapacità di rimeditare la questione etica (essenzialmente affidata a procedure disciplinari, definite nel silenzio camerale) e di muovere da quei fattori di crisi per promuovere riforme adeguate a evitare il ripetersi di quelle dinamiche, la sottovalutazione di quelle che sarebbero state le progressioni del dibattito politico, a fronte di un testo ministeriale che già presentava ampie criticità e che il passaggio parlamentare ha peggiorato, sono alcuni dei fattori che hanno impedito alla magistratura associata di essere interlocutrice autorevole».

In questo contesto, conclude Musolino, «non si è avuto cura di evitare il progressivo isolamento della magistratura dal mondo dell’avvocatura, dell’accademia, dei sindacati del personale amministrativo, sicché ci troviamo, oggi, senza altri soggetti istituzionali disposti a contrastare, insieme a noi, una pessima riforma che non solo non migliorerà l’efficienza del servizio giustizia, ma finirà per peggiorare la qualità della giurisdizione».