Per ora quello della Corte Suprema è soltanto un parere, una bozza. Tale però da scuotere come un terremoto l’America che ora si spacca sul diritto di aborto. “La fuga di notizie accende la battaglia sull’aborto”, titola il Wall Street Journal. Mentre il New York Times parla di «una svolta politica sismica». Tutto è cominciato lunedì scorso, quando il sito Politico ha ricevuto e poi reso pubblico un documento firmato dal giudice di destra Samuel Alito. Il quale scrive che la Corte Suprema sarebbe pronta ad annullare la storica sentenza Roe contro Wade del 1973 con cui si è sancito il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza. Apriti cielo. Da quel momento negli Stati Uniti non si parla d’altro. E i movimenti pro choice, così come i militanti antiabortisti, manifestano notte e giorno attorno alla Corte. In ballo c’è un po’ di tutto. È già molto grave che un documento riservato sia finito nelle mani della stampa. Un documento sì autentico, come conferma il presidente della Corte John Roberts. Che al contempo precisa che quella bozza «non rappresenta una decisione della Corte o la posizione finale di alcun membro sulle questioni in discussione». Il riferimento è alla sentenza attesa per giugno con cui la Corte dovrà esprimersi sulla legge approvata nel 2018 in Mississippi, che vieta l’aborto dopo la quattordicesima settimana di gravidanza. Dunque il parere è ancora provvisorio, e potrebbe cambiare nelle prossime settimane. Ma la soffiata spezza una liturgia consolidata della Corte, e la fuga di notizie arriva come una bomba sulle prossime elezioni di Midterm. Al punto che i giornali americani si chiedono: cui prodest? Per il Nyt, la «inaudita fuga di notizie potrebbe minare la credibilità della Corte», perché resterà comunque negli americani la sensazione che l’interpretazione della Costituzione è soltanto un fatto politico. Ed ecco il primo punto: il diritto ad abortire non è sancito dalla Costituzione, né da una legge federale. Una volta caduto lo scudo della sentenza del ’73, la scelta andrebbe ai singoli stati. Quindi agli elettori. Agli effetti sulla politica è dedicato un altro commento del Nyt, secondo cui il cambio di orientamento della Corte avrebbe sorpreso tanto i democratici quanto i repubblicani. Che i dem abbiano cercato di fermare la crociata dei conservatori sull’aborto, mobilitando i propri elettori? Difficile a dirsi, ma è utile capire perché un diritto sancito 50 anni fa precita verso l’abolizione.

Il documento e la soffiata

Nelle 98 pagine licenziate da Alito si afferma che la sentenza del ’73 deve essere «ribaltata» perché «clamorosamente sbagliata sin dall’inizio», fondata su «un’argomentazione eccezionalmente debole che ha avuto conseguenze negative» con il risultato di «infiammare il dibattito ed aumentare le divisioni: è arrivato il momento di tornare alla Costituzione e restituire la questione dell’aborto ai rappresentati del popolo». Se la Corte annullerà la Roe – eventualità rara, ma possibile - ogni Stato potrà regolamentare a suo modo l’accesso all’aborto, o vietarlo completamente. E per il New York Times - che ne ha pubblicato una mappa - sarebbero in molti ad introdurre subito restrizioni o ad imporre un divieto assoluto. Nella Corte, più alta istanza giudiziaria del Paese, siedono in tutto nove giudici. E con Alito sarebbero d’accordo in quattro, di cui tre giudici scelti dall’ex presidente Donald Trump: Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett. La loro decisione, se confermata, rischia di spazzare via anni di battaglie. E una giurisprudenza consolidata, confermata nel ’92 con la sentenza Planned Parenthood vs Casey. Certo i democratici non si arrenderanno. E il presidente Joe Biden ha già evocato una legge federale che codifichi la sentenza e preservi il diritto di abortire. Ma qual è «l’argomentazione eccezionalmente debole» di cui parla Alito?

Cosa prevede la sentenza Roe contro Wade

Prima del 1973, l’aborto negli Usa era disciplinato da ciascuno Stato con una legge propria. E il servizio era garantito soltanto in circostanze eccezionali, in caso di stupro o di pericolo di vita per la donna. La volontà non era contemplata. Ma nel 1969 un team di avvocate decide di portare la battaglia di Norma McCorve, alias Jane Roe (da cui il nome della sentenza) in tribunale. Norma si era sposata a 16 anni con un uomo violento, da cui aveva già avuto tre figli. E voleva interrompere la sua terza gravidanza, sfidando la legge del Taxas. A difendere le ragioni del Texas vi era l’allora attorney general Henry Wade. La Corte decise a larga maggioranza, sette giudici contro due, in favore della donna - che intanto aveva comunque avuto la sua terza figlia - stabilendo che, sebbene la Costituzione non affronti direttamente la questione del diritto all’aborto, questo viene tutelato dal diritto alla privacy, inteso come diritto alla libera scelta di ciò che attiene alla sfera più intima dell’individuo. Alla base c’è un’interpretazione del 14esimo emendamento, che sancisce i fondamenti del giusto processo e stabilisce che nessuno Stato può “privare qualsiasi persona della vita, della libertà o della proprietà senza un processo nelle dovute forme di legge”, né può “negare a qualsiasi persona sotto la sua giurisdizione l'eguale protezione delle leggi”. Alito contesta che il 14esimo emendamento sia stato «introdotto in un’epoca in cui neanche si discuteva di aborto». Eppure il giudice della Corte Harry Blackmun, largamente sostenuto, allora argomentava: «Noi concludiamo che il diritto alla privacy personale comprende la decisione di abortire», perché si tratta di un diritto che deve «prevalere sugli interessi regolatori degli Stati».