Del precedente tentativo di istituire un monitoraggio sui “flop” ( se troppo ricorrenti) dei magistrati, vi abbiamo detto sul Dubbio di martedì scorso. Ci provò Roberto Castelli, il guardasigilli della Lega che dà il nome alla riforma sulla magistratura del 2006. Vi abbiamo raccontato della stroncatura inflitta da Carlo Azeglio Ciampi a quel tentativo: nella lettera alle Camere con cui, il 18 dicembre 2004, il presidente della Repubblica chiese una nuova deliberazione sulla riforma, quell’“Ufficio per il monitoraggio sull’esito dei procedimenti” era il secondo dei punti ritenuti dal Colle manifestamente incostituzionali. Ve ne abbiamo parlato per mostrare quanto rischi di essere sottovalutata la riforma del Csm appena approvata alla Camera: il ddl ripropone appunto un monitoraggio sulla tenuta dei provvedimenti, il “fascicolo di valutazione”. Un atto di coraggio, che in ogni caso indebolisce la tesi di chi liquida il testo Cartabia come inconsistente. Resta, certo, la feroce opposizione dell’Anm, ostile innanzitutto all’istituzione del “fascicolo”.

Tutte le correnti e componenti della magistratura ( tutte o quasi, tra le eccezioni va annoverato il gip Guido Salvini, che ne ha parlato due giorni fa in un’intervista al Dubbio) ritengono il nuovo strumento “lesivo della libertà del magistrato”, perché lo incoraggerebbe ad appiattirsi sulla giurisprudenza dominante e a muoversi in modo da non essere smentito nelle fasi successive o dai gradi superiori di giudizio, con un effetto di “gerarchizzazione verticale” della magistratura.

Quasi esclusivamente di questo si è parlato nell’assemblea generale dell’Anm. Non solo perché il “fascicolo” è lo spauracchio più evocato dalle toghe, tra i presunti disastri della riforma Cartabia, ma anche perché nella riunione plenaria che ha proclamato lo sciopero, erano presenti anche alcuni politici:  Giulia Bongiorno ( Lega), Catello Vitiello (Italia Viva), Giulia Sarti (Movimento 5 stelle) e ancora di Enrico Costa (Azione) e Anna Rossomando (Pd). Gli ultimi due sono figure chiave: il primo ha proposto l’emendamento sul fascicolo; la seconda, dopo l’iniziale perplessità dei dem in commissione Giustizia a Montecitorio, ha stabilito con i suoi di approvare la modifica, alla luce della riformulazione suggerita da via Arenula e delle rassicurazioni offerte sempre dal ministero.

Ora, sulla praticabilità dello screening, che dovrà essere informatico, pure abbiamo già scritto ( sul Dubbio del 21 aprile scorso). Giovedì ne ha scritto anche il Corriere della Sera. C’è poco da essere ottimisti: implementare lo strumento telematico sarà un’impresa. Ma non è solo questo il punto. Qui vogliamo segnalarvi un’altra cosa, a proposito del precedente citato all’inizio, la riforma Castelli. Oltre alle obiezioni formali di Ciampi, che costrinse il guardasigilli leghista a seppellire il “monitoraggio dei provvedimenti”, precursore del nuovo “fascicolo”, il ddl aveva suscitato prima di tutto la reazione durissima dell’Anm. Basterà leggere il “comunicato sindacale” con cui il parlamentino delle toghe annunciò lo sciopero il 5 maggio 2004.

Critiche pesantissime sulla «separazione delle carriere», sulla «impostazione eccessivamente gerarchica dell’organizzazione complessiva degli Uffici del pubblico ministero» e persino sulla dialettica tra Castelli e il Csm. Ma non una parola, non una, sull’“Ufficio per il monitoraggio dei provvedimenti”.

Leggere per credere: non è difficile reperire il comunicato Anm in rete.

Possibile che una norma così incisiva, di lì a poco meritevole dell’attenzione e della censura del Quirinale, non suscitò nell’Anm neppure un breve commento? Nulla di nulla. D’altronde si potrebbe ricordare che un principio analogo è già previsto dall’ordinamento giudiziario. Nella romanzesca disciplina delle valutazioni sulla professionalità dei magistrati. Si tratta della circolare 20691 del 2007, che incoraggia ( ma non obbliga a farlo) a monitorare il lavoro delle toghe anche rispetto all’eventuale «significativo rapporto tra i provvedimenti adottati e quelli non confermati». E allora come si spiega il tanto esasperato allarme da parte dell’Anm, che ha criticato questo e altri aspetti della riforma persino con una pagina acquistata a pagamento su alcuni quotidiani? Com’è possibile che un’ipotesi sulla quale nel 2004 non si spese un rigo di comunicato sindacale ora viene rilanciata come l’armageddon che burocratizzerà la giurisdizione? Noi un sospetto ce l’abbiamo: serve a esasperare la “vittimizzazione presuntiva” della magistratura. A rappresentare come carnefici la politica, la ministra Marta Cartabia, il Parlamento, il povero Costa che oggi affronterà la fossa dei leoni dall’assemblea Anm. Ma insinuare intenzioni vendicative nei confronti della magistratura, non è che serve a riproporre un po’ lo schema conflittuale dell’era Berlusconi, e a far uscire, così, le toghe dall’angolo del caso Palamara?

Il sospetto di una strategia politica è difficile da allontanare. Tanto più che sarebbe una strategia funzionale e utile anche per le singole correnti, che hanno tutte un chiaro interesse a ritrovare la fiducia dei colleghi in vista del voto per il nuovo Csm.

Non che si voglia snobbare le critiche avanzate dalla magistratura. Ma forse è giusto pure tentare di osservarle con uno sguardo più disincantato. O altrimenti si rischia di assecondare una rappresentazione un po’ esasperata della riforma Cartabia, che riproporrebbe in modo paradossale un conflitto sulla giustizia già pagato a prezzo troppo caro dal nostro Paese.