Rimuovere Vito Petrocelli dalla presidenza della commissione Esteri al Senato. È questo l’imperativo categorico che agita ormai tutte le forze politiche, a cominciare dal Movimento 5 Stelle, partito di provenienza (che ha avviato un procedimento di espulsione) del senatore accusato di simpatie putiniane. Di fare un passo indietro spontaneamente Petrocelli non ha alcuna intenzione, per questo i membri della Commissione pensano di disertare i lavori a oltranza per mettere all’angolo il presidente “filo russo”. Tanto che ieri è stata sconvocata la seduta congiunta delle commissioni Esteri e Giustizia di Palazzo Madama che avrebbe dovuto esaminare il ddl “Ratifica protocollo addizionale convenzione criminalità informatica su razzismo e xenofobia”.

Petrocelli - già “attenzionato” da colleghi di partito e di maggioranza per aver votato contro il decreto Ucraina invitando il M5S a uscire dal governo e per aver disertato l’Aula nel giorno dell’intervento di Zelensky - ha probabilmente superato il limite del “diritto di critica” domenica scorsa, quando, alla vigilia del 25 aprile ha scritto su Twitter: «Per domani buona festa della LiberaZione». Quella “Z” maiuscola ostentata, simbolo dell’invasione russa, ha scatenato una polifonia di reazioni indignate, oltre all’immediato annuncio della procedura d’espulsione da parte di Giuseppe Conte.

Ma il nodo della presidenza resta sul tavolo, visto che tecnicamente è quasi impossibile rimuovere Petrocelli dalla sua poltrona. Per questo tutti i Gruppi hanno chiesto un incontro con la presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati, chiamata a trovare una soluzione per forzare l’impasse. Il Movimento 5 Stelle preferirebbe uscire subito dall’imbarazzo, ma più passa il tempo e più il rossore aumenta, perché tra le file grilline non mancano le voci di quanti continuano a difendere l’operato del quasi ex compagno di partito. Come quella del senatore Mauro Coltorti, convinto che Petrocelli «non debba dimettersi», visto che «finora ha svolto il suo ruolo egregiamente, con dignità e onore». Certo, il tweet incriminato «è stato infelice», concede Coltorti, «ma vogliamo forse negare che in Ucraina ci sono dei battaglioni filo- nazisti? Non credo questo si possa negare», aggiunge, buttando la palla in tribuna. Per poi chiosare: «Il problema grosso è che si sta dando dei putiniani a tutti quelli che hanno un’idea diversa». O a quelli che usano la “Z” su Twitter.

Ma Coltorti non è l’unico a schierarsi a difesa di Petrocelli. Il senatore Alberto Airola parla così del presidente della commissione Esteri: «È stato estremamente equilibrato, ha sempre portato avanti le istanze di tutti: maggioranza, minoranza e governo. Che si valuti questo prima di assumere qualsiasi azione» volta a disarcionarlo. «Da presidente non possiamo accusarlo di nulla», insiste Airola, accusando il Pd di dire «il falso» quando sostiene «il contrario».

E sono proprio questi distinguo a mettere in difficoltà Conte, già sotto attacco per il “No” alle armi pesanti da inviare a Kiev su cui ieri ha posizionato il Consiglio nazionale del Movimento. L’espulsione annunciata di Petrocelli non basta a placare le reazioni degli avversari politici. Così, il presidente di Italia viva, Ettore Rosato, ha gioco facile nel commentare: «Nel M5S c’è ancora qualcuno che ha il coraggio di difendere Petrocelli e lo definisce: “Un presidente di commissione Esteri sempre equilibrato”», dice l’esponente renziano. «Non c’è niente da fare, la verità è che Petrocelli è stato messo lì perché interpretava la linea politica del suo partito e adesso a rimuoverlo non ci vogliono proprio pensare». E se qualcuno, come il senatore di Fratelli d’Italia Adolfo Urso, cerca tutti i precedenti di “dimissioni coatte” di capo Commissione per suggerire soluzioni, la capogruppo dem a Palazzo Madama, Simona Malpezzi, propone una via d’uscita: «Qualsiasi strumento deve essere messo in atto anche, dal nostro punto di vista quello di spostarlo dalla Commissione». Ma vista l’indisponibilità a qualsiasi passo, bisognerà proprio prenderlo di peso.