Non scegliere, pur turandosi il naso, tra Macron e Le Pen, come fa Giuseppe Conte, che evita «di dare indicazioni di voto» in quanto non francese, non è solo la gaffe di un ex premier, è una scelta politica. Regressiva in questo caso. Nel senso di un ritorno disperato al passato, quando il grillismo gonfiava le urne al grido di battaglia “né di destra, né di sinistra”.

Un’ambiguità ostentata, utilizzata prima di Grillo dai partiti minoritari dell’estrema destra, per raccattare consensi ovunque. Tra i delusi del Pd, incantati dalle sirene del reddito di cittadinanza, e tra i diffidenti del salvinismo, interessati alle politiche securitarie verso cui il Movimento 5 Stelle ha sempre strizzato l’occhio. Ma il problema di Conte è che quel Paese non esiste più. E nemmeno quel M5S, sfigurato da quattro anni sempre al governo e con chiunque, e ancorato stabilmente, dallo stesso avvocato, al campo progressista.

Per questo, non escludere con fermezza un sostegno, seppur ipotetico, al Rassemblement National di Marine Le Pen riporta indietro di qualche anno le lancette del grillismo. Perché sulle scelte di campo tra destra e fronte repubblicano non possono essere ammessi tentennamenti se sostieni di aver trasformato il tuo partito in una gamba del centrosinistra. E non c’entra in questo caso tirare in ballo l’indipendenza dai dem.

Essere radicali non significa essere ambigui, come dimostra la presa di posizione anti lepenista del “non esattamente” macroniano Jean- Luc Mélenchon, leader dell’estrema sinistra di France Insoumise. I distinguo sulla linea ultra atlantista del Pd (e di Luigi Di Maio) sulle spese militari può servire a costruire un’offerta politica differente, ma non incompatibile, rispetto a quella del tuo alleato, in una fase in cui il Movimento che hai ereditato deve essere ricostruito dalle fondamenta. Anche la critica al draghismo può servire allo stesso scopo. Ma surfare sulle onde del “né, né” anche davanti alla destra francese cambia il quadro.

Il ritorno al passato rischia di trasformarsi in un boomerang per un Giuseppe Conte troppo composto per risultare credibile nei panni dello scapigliato interprete dell’equidistanza. Per fare il Di Battista devi essere Di Battista. A meno che il leader 5S non abbia deciso a sorpresa di rivendicare la sua esperienza “equidistante” a Palazzo Chigi ( una volta con la Lega e una volta col Pd) per farne un punto di forza alle prossime elezioni.

Ironie a parte, l’incertezza di Conte probabilmente rispecchia la crisi identitaria di una forza politica nata col vento in poppa del populismo e adesso smarrita tra i corridoi del Palazzi e acciaccata sotto le macerie del trumpismo. E Macron per tutta una parte di Movimento - compreso l’attuale irriconoscibile ministro degli Esteri Di Maio per anni ha rappresentato “il male” da combattere, difficile adesso riposizionare il partito su una sponda così lontana. Eppure, se vorrà davvero dare inizio al “nuovo corso” tanto propagandato, Conte dovrà rifondare la sua creatura e scegliere una volta per tutte un punto cardinale attraverso il quale orientarsi.