Il livello di scontro tra magistratura (associata) e politica ha ormai raggiunto livelli drammatici. Da un lato, governo e parlamento, che sulla giustizia si giocano gran parte della propria credibilità interna e europea (la riforma è uno dei capisaldi del PNRR). Dall’altro la magistratura, che si esprime attraverso l’associazione di categoria, rappresentativa - in termini di iscritti - della quasi totalità dei magistrati. Sullo sfondo i referendum sulla giustizia del 12 giugno. La tensione è così alta che l’Anm minaccia di proclamare uno sciopero, o come si dice, con un’espressione non priva di understatement, un’astensione dall’esercizio dell’attività giurisdizionale. L’inquadramento dello sciopero dei magistrati nella cornice costituzionale ha provocato vivaci dibattiti, non solo tra i costituzionalisti. Fatto sta che ormai da anni accade che scioperi vengano proclamati, tanto che la Commissione di garanzia per l’attuazione dello legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali ha “valutato idoneo” un codice di autoregolamentazione redatto dall’Anm, il quale ne disciplina le modalità di svolgimento, proprio al fine di garantire le prestazioni essenziali anche durante l’astensione. Che, per dirne una, “non è consentita nei procedimenti e processi con imputati detenuti”. Qualche interrogativo però resta. Non si tratta, infatti, in questo caso dello sciopero in senso classico, inteso come strumento di rivendicazione legato al rapporto di lavoro e ai suoi profili giuridico-economici. E’ sufficiente esaminare le pronunzie dell’Anm o leggere le interviste dei suoi vertici, per comprendere che la mobilitazione di cui si parla ha dichiaratamente a oggetto la contestazione di un indirizzo di politica giudiziaria. Questo è dunque, tecnicamente, uno sciopero politico. Non nel senso partitico, ovviamente, ma nel senso che si contestano delle scelte politiche, proprio in quanto scelte politiche. Le motivazioni di queste contestazioni sono argomentate dall’Anm nei termini di una difesa, se non della lettera, quantomeno dello spirito della Costituzione. Ma le motivazioni, ammesso che siano tutte fondate, non cancellano il fatto che la contestazione avvenga nelle forme di una iniziativa che, in quanto contrapposta a quella politica del governo, assume essa stessa carattere politico. L’Anm, cioè non si limita a evocare l’incostituzionalità della legge, riservandosi poi di far valere tale incostituzionalità nella sede appropriata, che è quella del giudizio di costituzionalità delle leggi. Né si è limitata ad aderire al parere, articolato, ma essenzialmente critico, espresso dal Csm qualche settimana fa, in forza di un potere consultivo che - pur non previsto espressamente in Costituzione - è stato introdotto dal legislatore allorché ha precisato i compiti del Consiglio superiore. L’Anm, invece, sta valutando di intervenire su di un altro terreno. Quello che fa capo allo sciopero come mezzo per fare pressione sul decisore pubblico affinché non assuma quella decisione politica. E il fatto che l’Anm evochi ragioni di “interesse generale” paventando ad esempio il rischio che “così si trasformerebbe il magistrato in un burocrate” rende ancor più evidente la natura “politica” (sebbene non partitica) della posizione. Perché è evidente che l’interesse generale (cioè non corporativo) evocato dall’Anm è “uguale e contrario” all’interesse generale che, per definizione, il Parlamento esprime allorché assume le proprie scelte legislative. Ogni indirizzo politico è infatti un modo di “interpretare” l’interesse generale. Il quale, com’è noto, non esiste in natura, ma è frutto delle valutazioni di opportunità, cioè politiche, svolte dai soggetti a tal fine preposti. Inquadrare bene i termini della questione è dunque importante, anche qualora non si dubiti in generale della liceità dello sciopero anche politico. E’ importante, cioè, non dimenticare che in questa vicenda si contrappongono due diversi indirizzi politici in materia di giustizia. Motivati, da entrambi i lati, anche con ragioni legate a una corretta attuazione della Costituzione. Posta così la questione è difficile non rilevare che la vicenda, oltre ad essere una spia molto eloquente del livello di guardia ormai raggiunto dalla crisi del rapporto tra politica e magistratura, pone degli interrogativi sul modo in cui quel rapporto debba ormai essere concepito. La Costituzione, infatti, stabilisce garanzie altissime per l’esercizio della funzione giurisdizionale. Garanzie che inevitabilmente si risolvono in garanzie personali di coloro che quella funzione svolgono. E non potrebbe che essere così. E la Corte costituzionale ha sempre dato prova di una particolare cura per queste tutele del sistema-giustizia e degli individui che vi operano. Nessuno può certo dire che vi sia sottovalutazione o negligenza da parte dell’organo guardiano della costituzionalità. Nello stesso tempo, però, e non a caso, la Costituzione è molto rigorosa nel voler tenere lontana la magistratura dalle scelte politiche e nell’affermare che chi esercita funzioni giurisdizionali non debba essere (né apparire, aggiunge la Corte dei diritti dell’uomo) portatore di un proprio indirizzo politico, né abbia particolare titolo per valutare le scelte di indirizzo politico, anche in materia di giustizia. Già la previsione di un parere del CSM sui progetti di legge in materia costituisce un’originalità, che viene giustificata in nome della natura “tecnica” del parere (comunque non vincolante). Conosciamo l’obiezione. Nessuno può impedire ai magistrati in quanto cittadini di esprimere la propria opinione. Ci mancherebbe. Ma il problema sta tutto lì. Lo sciopero ontologicamente non è l’iniziativa di cittadini, quand’anche associati. Lo sciopero è una rivendicazione di una categoria in quanto categoria, non in quanto insieme di cittadini. Qui sta, a mio parere, il corto-circuito. L’Anm non è un’associazione di cittadini che incidentalmente si trovino ad essere anche magistrati. L’Anm è l’associazione di categoria di rappresentanza dei magistrati in quanto magistrati.Né basta dire che si tratti di attività associativa, la quale non intacca l’esercizio delle funzioni, che saranno comunque svolte “in soggezione alla legge” qualunque essa sia. Ci mancherebbe. Intanto però, seppur dall’esterno, le condiziona perché per definizione ne sospende l’esercizio. Ma il punto vero è che, con questo sciopero politico, la sospensione delle funzioni avviene in nome di una visione dell’indirizzo di governo che la magistratura associata, in quanto categoria, vuole contrapporre a quello degli organi che, nella nostra forma di governo, sono costituzionalmente abilitati a stabilirlo. D’altronde se si accettasse la prospettiva dell’Anm, ci si dovrebbe chiedere per quale motivo, per coerenza, lo sciopero non sia proclamato anche per fare pressione su quel “legislatore”, portatore di indirizzo politico, che è il popolo quando vota il referendum.Ma uno sciopero per far pressione sul popolo non suona proprio benissimo.