Henry Reznik è uno degli avvocati più famosi in Russia. Il suo prestigio professionale in circa sessant’anni di carriera lo ha portato a ricoprire incarichi di rilievo. Attualmente è vicepresidente della Camera federale degli avvocati e presiede la Commissione sulla protezione dei diritti degli avvocati. In questo momento molto delicato per il suo Paese, dove il dissenso è sempre meno tollerato, i legali svolgono un duplice ruolo. Alcuni di loro sono gli ispiratori delle nuove norme a protezione degli interessi russi in patria e all’estero; altri sono costretti, come le persone che assistono, a muoversi in un contesto di compressione delle libertà. Proprio Henry Reznik è stato incaricato con altri colleghi di elaborare alcune proposte per modificare la legislazione su tutti quei soggetti che, in forma individuale o organizzata, possono costituire un pericolo per gli interessi della Russia. Il giornale AG (Advocatskaya Gazeta) lo ha intervistato e gli ha posto alcune domande in merito all’impegno politico dei suoi colleghi, a certe derive liberticide che si stanno verificando e alle condizioni di lavoro sempre più complicate per chi svolge la professione forense. «Ogni avvocato – sostiene Reznik - è cittadino e ha tutti i diritti e le libertà garantite dalla Costituzione della Federazione Russa. Tra l’altro, è libero di aderire a qualsiasi partito politico, sostenere associazioni non vietate dalla legge, intervenire sulla stampa e sui social network su questioni di suo interesse. È importante però non confondere l'avvocatura con le attività sociali. Ed è del tutto inappropriato prevalere nella comunità con le proprie opinioni e passioni politiche, per insegnare ai colleghi il "progresso"». Secondo Raznik, si è, dunque, avvocati sempre. Nei propri studi legali, in tribunale e fuori. Non sono ammesse deroghe e questa condizione deve sempre prevalere. Sulle violazioni del diritto di difesa che hanno subito negli ultimi mesi molti avvocati nell’assistere tanti dissidenti arrestati in piazza, il noto penalista non nasconde la sua preoccupazione. Evidenzia, però, prima di tutto che «ci sono sempre state violazioni dei diritti degli avvocati». «Derivano – commenta Reznik - perché ereditate dall’epoca sovietica e ne stanno emergendo di nuove, legate al cambiamento delle leggi e a una situazione criminogena. Nel 200, il vecchio codice di procedura penale era ancora in vigore, sebbene fosse stato pesantemente riscritto dalle decisioni della Corte costituzionale. In passato erano frequenti le violazioni di legge che riguardavano gli avvocati durante gli interrogatori e le perquisizioni negli studi legali. Queste violazioni sistematiche hanno continuato a dominare fino agli ultimi anni, ma ora sono bloccate da alcuni emendamenti al Codice di procedura penale della Federazione Russa e dalle sentenze della Corte costituzionale. Ma casi di detenzioni di massa di partecipanti a manifestazioni pubbliche non organizzate e le difficoltà per gli avvocati ad assistere i loro clienti rendono il quadro preoccupante». La Commissione sulla protezione dei diritti degli avvocati è chiamata a tenere alta l’attenzione. Come rileva Reznik, sono molte le denunce su violazioni procedurali, rifiuti delle forze di polizia a collaborare, detenzioni ingiustificate. «La Commissione – dice - non ha il diritto di interferire nelle attività dei Tribunali. Abbiamo però la possibilità di sottoporre le violazioni del diritto di difesa al Procuratore Generale. Monitoriamo costantemente i singoli casi, ci teniamo in contatto con avvocati e gli organismi locali, offriamo assistenza ai colleghi e scriviamo pareri legali. E credetemi, ci sono successi tangibili lungo questa strada». Un ottimismo forse eccessivo nella Russia di Putin e del dissenso represso.