Un momento toccante che ha permesso di vedere meglio e senza filtri quanto accade nelle carceri. Sono state queste le prime sensazioni del presidente dell’Aiga, Francesco Paolo Perchinunno, al termine della giornata che ha coinvolto diciannove istituti penitenziari, da Nord a Sud, visitati dagli esponenti della giovane avvocatura. Le carceri interessate sono state quelle di Pescara, Melfi, Reggio Calabria Arghillà, Santa Maria Capua Vetere, Bologna, Udine, Regina Coeli – Roma, Cassino, Casa Circondariale femminile Pontedecimo Genova, Milano Bollate, Ancona, Campobasso, Torino, Bolzano, Spoleto, Venezia, Barcellona Pozzo di Gotto, Palermo e Foggia. Quella di ieri è stata la prima iniziativa, dopo la creazione nello scorso mese di febbraio, dell’Onac (Osservatorio nazionale Aiga sulle carceri). Il numero uno dell’Associazione italiana giovani avvocati è stato a Regina Coeli, accompagnato da due parlamentari che conoscono bene il pianeta carcere: la senatrice Angela Anna Piarulli (M5S), che ha diretto prima dell’approdo a Palazzo Madama il carcere di Trani, e l’onorevole Jacopo Morrone (Lega), già sottosegretario alla Giustizia.

Presidente Perchinunno, cosa porta con sé dopo la visita a Regina Coeli?

«È stata un’esperienza molto toccante. Io e i miei colleghi abbiamo avuto modo di ascoltare le problematiche affrontate tanto dai detenuti quanto dagli agenti della polizia penitenziaria. Quello che emerge in maniera chiara, e lo metteremo nero su bianco in una relazione dettagliata delle visite di ieri, riguarda la richiesta importante dei detenuti di risolvere una volta per tutte il problema del sovraffollamento con la possibilità di un reinserimento sociale. Tutti i detenuti cercano lavoro. La parola lavoro, probabilmente, è stata quella più pronunciata ed ascoltata incontrandoli. Me lo hanno riferito anche i colleghi che sono stati in altre carceri coinvolte nella nostra iniziativa».

Il lavoro che chiedono i detenuti corrisponde ad un loro definitivo reinserimento sociale…

«Proprio così. Tutti i detenuti sono consapevoli degli sbagli compiuti e di dover pagare il loro conto con la giustizia. Chiedono di riprendere in mano la loro vita attraverso un idoneo percorso di reinserimento. Per quanto riguarda le condizioni in cui si svolge la detenzione, ci sono delle eccellenze. Pensiamo al carcere di Bollate, dove abbiamo constatato l’esistenza di un modello al quale dovremmo ispirarci. Ma non tutte le strutture sono come quella lombarda». Quali emergenze avete riscontrato?«Tanti altri penitenziari, per ragioni storiche, pensiamo a Regina Coeli, a Roma, scontano problemi strutturali endemici per i quali si richiedono urgenti ristrutturazioni. Ma emerge con chiarezza pure un altro elemento».

A cosa si riferisce?

«In alcune case circondariali, che dovrebbero essere strutture solo per i detenuti in attesa di giudizio, ci sono tantissime persone che scontano pene definitive. Una casa circondariale che viene concepita come luogo di presenza temporanea, di passaggio, non è organizzata per accogliere detenuti che scontano pene di quattro, cinque o sei anni. Parliamo di luoghi pensati per un altro tipo di detenzione».

Avete avuto modo di conoscere le condizioni in cui lavora la polizia penitenziaria?

«Esiste una collaborazione da parte della polizia penitenziaria, che sconta anche nelle carceri delle difficoltà. Mi riferisco, prima di tutto, all’organico che andrebbe implementato. Abbiamo inoltre riscontrato a Roma, alla presenza dei parlamentari Piarulli e Morrone, una grande disponibilità e richiesta di collaborazione per aumentare le attività che possano contribuire ad un corretto inserimento sociale e a gestire in maniera più umana la condizione dei detenuti».

Il carcere di Regina Coeli, che lei ha visitato, quali criticità presenta?

«A Regina Coeli la polizia penitenziaria e i detenuti fanno i conti con una struttura antica, risalente al 1600. Le disfunzioni legate all’età dell’immobile sono evidenti. Qui il numero di detenuti che scontano una pena definitiva è pari a più della metà degli ospiti totali, vale a dire 870. Parliamo di una casa circondariale senza palestra, senza campo sportivo e ogni altra struttura in cui il detenuto possa cercare di mettere da parte la solita routine. Inoltre, a Regina Coeli ci sono oltre 300 detenuti tossicodipendenti. È presente il Sert, che fa un lavoro molto impegnativo. Quasi il 40% dei detenuti è tossicodipendente. Dovremmo pensare ad una detenzione diversa per questi soggetti, spingendo, per esempio, sulle comunità di recupero, piuttosto che una presenza passiva, seppur seguita dal Sert, nel carcere».

L’Onac farà delle proposte dopo aver avviato la visita nelle carceri?

«Entro la fine del mese di aprile le delegazioni territoriali scriveranno una relazione sulla giornata che abbiamo organizzato. Presenteremo in una conferenza stampa i risultati della prima edizione della nostra iniziativa. Voglio sottolineare la piena collaborazione del Dap e della polizia penitenziaria. Gli agenti della polizia penitenziaria svolgono un lavoro encomiabile, che abbiamo potuto constatare ed apprezzare. Ci hanno consentito di poter conoscere meglio la situazione delle carceri italiane. Siamo pronti a visitare quante più carceri per arrivare entro la fine dell’anno a fotografare una situazione la più completa possibile di un mondo che richiede di essere sempre monitorato e conosciuto. In questo modo saremo pronti a presentare proposte concrete che possano migliorare una situazione, che, come ha rilevato di recente il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, non è degna di un Paese civile. Per noi non è un momento di critica sterile. La condizione in cui versano le carceri ha un’origine remota, non degli ultimi anni. È arrivato il momento che il legislatore e l’opinione pubblica prendano piena consapevolezza di dover affrontare un’emergenza importante del nostro Paese».