Esiste un timore per il ruolo e la funzione svolta dagli avvocati? Questo timore si trasforma in compressione del diritto di difesa? La risposta, se si pensa ai casi verificatisi da qualche anno a questa parte, è affermativa. A dimostrarlo è la Relazione del Cnf sullo Stato di diritto e l’indipendenza degli avvocati e degli Ordini forensi, presentata pochi giorni fa alla Commissione europea. Il documento ha consentito, come rilevato da Francesca Sorbi, capo delegazione presso il Ccbe (Consiglio dell’avvocatura europea), di fare il punto sulle condizioni in cui versa e opera l’avvocatura italiana, partendo dalla pari dignità che hanno i protagonisti della giurisdizione. A questi, senza distinzioni, sono riconosciute autonomia e indipendenza.

NELLA RELAZIONE DEL CNF ALLA UE ANCHE I CASI DI DIFENSORI INTERCETTATI

Sulla realizzazione del diritto di difesa, tenendo conto della segretezza e riservatezza delle conversazioni e l’interferenza dei giudici, sono stati portati a conoscenza di Bruxelles alcuni casi. Il primo ha riguardato un penalista del Foro di Roma, sottoposto a intercettazioni per più di due anni, dopo l’avvio di un’indagine sulla presunta partecipazione ad una associazione per delinquere con i suoi assistiti. Una “prassi disfunzionale”, ha rilevato il Cnf, tendente ad affermare un «metodo d’indagine che non rispetta le prerogative della difesa, né la presunzione di innocenza». Un tema di grande attualità è quello dell’interferenza dei giudici che può implicare l’interruzione della funzione di difesa. I vertici di via del Governo Vecchio, nel conferire con la Commissione europea, hanno rilevato in alcuni casi una «deriva inquisitoria nella fase centrale dell’udienza con l’emergere di comportamenti che connotano un eccesso dell’uso del potere discrezionale del Giudice, se non un abuso di potere, consistenti nel limitare i diritti della difesa in fase di esame e contro esame, impedendo, ad esempio, di porre domande o escludendo arbitrariamente la loro rilevanza». Tra le vicende segnalate quella degli avvocati Borzone e Capra. Durante un’udienza, un giudice ha interrotto senza troppi convenevoli il controesame dei testi, ostacolando, di fatto, l’attività difensiva. A Lecce, invece, un altro avvocato ha deciso di rinunciare al proprio mandato, poiché si è trovato in palese disaccordo con la condotta del giudice, e ha ritenuto «negato il corretto esercizio delle proprie funzioni nel corso di un procedimento». Il 2022 ha fatto registrare altri casi in cui il diritto difesa è stato messo a dura prova. In un processo penale gli avvocati del Foro di Milano Enrico Visciano e Alfredo Partexano, nel corso della loro arringa, hanno fatto i conti con un atteggiamento singolare del giudice che ha cercato di abbandonare l’aula di udienza. «Durante le arringhe presso il Tribunale di Monza – spiegano i due legali –, ci siamo imbattuti in molteplici interruzioni, nonostante i richiami di noi difensori rispetto all’impossibilità assoluta di interrompere un’arringa finale quale momento sacramentale del rito. Anche l’imputato, non dimentichiamolo mai, ha dei diritti. Le interruzioni sono state poste in essere sia dal difensore di parte civile sia dal giudice, che abbiamo richiamato affinché tornasse al proprio posto con i faldoni in mano nel momento in cui decise di allontanarsi dall’aula. Solo con le nostre proteste rivolte al giudice siamo riusciti a concludere le arringhe». La sentenza emessa al termine del processo ha, poi, riservato una sorpresa. L’assistita di Visciano e Partexano è stata condannata a quattro anni di reclusione, ma a meravigliare gli avvocati sono state le parole scritte dal giudice. Le conclusioni alle quali è giunto sono singolari: gli avvocati che non si dissociano dalle dichiarazioni del proprio assistito e che le fanno proprie nelle arringhe, seppur con «toni solo apparentemente più pacati ed urbani », rischiano quanto la persona difesa. Un assunto che stride con la “sacralità” del ruolo del difensore.

E ORA SCATTANO INDAGINI SUGLI AVVOCATI CHE CHIEDONO IL LEGITTIMO IMPEDIMENTO

Nelle ultime settimane grande clamore ha destato il “caso Murano”. L’avvocato Antonio Murano del Foro di Potenza è stato indagato e sottoposto a controlli nel suo studio legale di Rionero in Vulture, dopo essersi assentato in una udienza penale per motivi di salute, certificati da un medico. Con la trasmissione del verbale di udienza in Procura il professionista ha ricevuto la visita fiscale in casa. Il medico si è presentato accompagnato dai carabinieri. Sono state sottoposte ad interrogatorio diverse persone, compresi i familiari del penalista, e il suo studio legale ha subito un controllo per visionare l’impianto di videosorveglianza e acquisire le registrazioni.

ARMETTA: «A MAGGIOR RAGIONE URGE LA RIFORMA SUI CONSIGLI GIUDIZIARI»

«Mi piacerebbe - commenta Antonello Armetta, presidente del Coa di Palermo - se più che di paura o timore si parlasse del dovuto rispetto per gli avvocati. I fatti di Potenza non fanno che confermare come, tra alcuni componenti del complesso sistema giustizia, l’avvocato goda della stessa considerazione di cui gode il suo assistito, quasi a voler immaginare una sovrapposizione tra i medesimi, che è figlia di una assoluta mancanza di cultura giuridica. Tale approccio dovrebbe far riflettere molto sulla stessa capacità di alcuni di indagare e giudicare». Per questo motivo, secondo Armetta, «non ci si stupisce della ritrosia ad ammettere il diritto di voto degli avvocati nei Consigli giudiziari, che l’avvocatura deve pretendere senza se e senza ma». «L’amministrazione della giustizia – conclude il presidente del Coa palermitano – impone un controllo che solo gli avvocati possono garantire. Risponde al superiore interesse pubblico gravemente compromesso dai recenti fatti di cronaca, che hanno intaccato la credibilità dell’intero sistema giustizia. La resistenza cui assistiamo non fa che confermare l’assoluta necessità di una operazione trasparenza ineludibile e urgente».