«Abbiamo seguito la strada indicata dalla Consulta». Mario Perantoni, presidente della commissione Giustizia di Montecitorio, lo dice a proposito della legge sull’ergastolo ostativo, di cui è stato relatore. Il deputato del Movimento 5 Stelle ne parla in coincidenza con la relazione annuale e la conferenza stampa che il presidente della Corte costituzionale Giuliano Amato terrà questa mattina, e in cui, con ogni probabilità, sarà chiamato a esprimersi anche sull’iter delle nuove norme per i detenuti “non collaboranti”, attese al vaglio della stessa Consulta nella riunione del prossimo 12 maggio.

Presidente Perantoni, il testo sull’ergastolo che avete scritto in commissione e che ha ottenuto il via libera dell’Aula contiene passaggi che sembrano contraddittori. Ad esempio la pretesa che l’ergastolano non collaborante provi anche la rescissione dei legami non solo con l’organizzazione ma anche con il «contesto» di provenienza. Non si rischia di escludere, irragionevolmente, proprio i detenuti di mafia che non parlano per evitare di esporre familiari ancora residenti nella terra d’origine?

Questa non è né la lettera né lo spirito della legge. Il mafioso non collaborante dovrà mettere i giudici in condizione di affermare con il massimo grado di sicurezza possibile che egli ha effettivamente interrotto i rapporti con l’organizzazione criminale di provenienza e con il contesto nel quale il reato è maturato. Non è importante se i familiari vivano o no in quel territorio ma se facciano parte del contesto criminale. La società gli dà credito ma il detenuto deve fornire specifici elementi perché i giudici accertino che non ha più alcun legame con la criminalità.

E la richiesta al detenuto di prove che escludano il futuro riallacciarsi dei rapporti criminali? Come si fa a provare l’assenza di qualcosa che non può essere ancora avvenuto?

Ricordo che l’esclusione del pericolo di ripristino dei collegamenti del condannato con il consesso mafioso o eversivo è uno dei parametri espressamente indicati dalla Consulta tra quelli per i quali il detenuto è tenuto a dare elementi nella sua domanda di accesso ai benefici. Prima di concedere benefici a un mafioso non collaborante, un giudizio di previsione sulla potenziale futura pericolosità, che sulla base di questa riforma non si presume più assoluta e costante, è certamente costituzionalmente compatibile.

Richiedete atti di giustizia riparativa, anche patrimoniali: non si rischia di favorire i mafiosi le cui famiglie sono riuscite a conservare risorse accumulate con l’attività criminale?

Come è noto ogni reato obbliga alle restituzioni ed al risarcimento dei danni patrimoniali e non. Se il detenuto si trova nell’impossibilità di adempiere a questi obblighi i giudici ne terranno conto. Questo è scritto nel testo. Del resto la norma prevede anche accertamenti patrimoniali puntuali e approfonditi finalizzati anche a fare emergere eventuali patrimoni accumulati illegalmente: no, non ritengo proprio che vi siano i rischi ai quali lei fa riferimento.

Ma in generale non teme che una legge così fitta di ostacoli frapposti alla liberazione condizionale dell’ergastolano non collaborante renda di fatto impossibile un percorso netto che porti davvero al beneficio, e si riveli dunque incostituzionale come le norme preesistenti?

Come relatore mi sono posto costantemente il tema della tenuta costituzionale del testo e le decisioni della Consulta sono state tenute ben presenti. La stesura del testo è frutto di un lavoro collettivo e tutti coloro che vi hanno preso parte, nessuno escluso, hanno lavorato con la massima attenzione per rispettare il dettato costituzionale. Altrettanto forte è stata la preoccupazione di garantire che potessero godere dei benefici solo persone meritevoli: ricordo che parliamo sempre di mafiosi non collaboranti. Insomma, la Consulta ha indicato la strada, noi l’abbiamo seguita.