Scrive su Twitter, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, a commento degli incontri tra la delegazione ucraina e quella russa per le trattative: «Un conflitto prolungato non è nell’interesse di nessuno, mentre con una pace giusta non ci saranno perdenti». Come fare che nessuno risulti perdente – sembra questo il dilemma delle cancellerie internazionali.

Nella teoria dei giochi, un gioco “a somma zero” descrive una situazione in cui il guadagno o la perdita di un partecipante è perfettamente bilanciato da una perdita o un guadagno di un altro partecipante in una somma uguale e opposta. Se alla somma totale dei guadagni dei partecipanti si sottrae la somma totale delle perdite, si ottiene zero. Invece, situazioni in cui i partecipanti possono guadagnare o perdere insieme sono indicate come giochi “non a somma zero”. A esempio, se un paese con un eccesso di banane commercia con un altro paese che ha un eccesso di mele, entrambi trovano beneficio nella transazione: si è quindi di fronte a un gioco non a somma zero. Però, se uno esporta bombe e l’altro esporta sanzioni – possono perdere insieme. È la teoria dell’equilibrio di John Nash. In sostanza, quando ci sono dei rivali tanto forti da non consentire che nessuno dei due o più contendenti sia un vincitore netto, la cosa migliore è non giocare e in guerra, ovviamente, non combattere e dividere la posta in palio.

Si fece molto riferimento alla teoria dei giochi durante la Guerra fredda: quale sarebbe stata la migliore risposta degli Stati uniti nel caso in cui l’Urss avesse attaccato? Anzi, ci fu un film negli anni Ottanta – Wargames in cui un giovane smanettone, David, riusciva a entrare nel supercomputer che sovrintende il conflitto atomico, e a sfidarlo in una guerra virtuale, assumendo il ruolo dei russi: Joshua, questo il nome del supercomputer, però fa scattare negli americani tutta la catena di comando di fronte a un possibile attacco, che loro interpretano come reale, finché alla fine si riesce a distrarlo con altri giochi. «Vincitore: nessuno», dirà Joshua «l'unica mossa vincente è non giocare». La leggenda narra che Ronald Reagan rimase talmente impressionato dal film da dare avvio a un programma di procedure molto più accurato e affidabile.

L’avessero detto a Pirro, di non sfidare i Romani, però non avrebbe dato retta. Fu dopo la battaglia di Heraclea che disse: «Un'altra vittoria così e sarò perduto», cosa che puntualmente si verificò a Ascoli Satriano, e alla fine noi lo ricordiamo per quello, per il senso di quella locuzione: una vittoria di Pirro, quando quello che hai perso, benché sei risultato vincente in uno scontro, ti ha talmente indebolito che perderai la guerra. E la faccia. Accadrà così anche a Putin?

C’è un possibile punto di equilibrio oggi nel conflitto in atto per cui nessuno dei due, Zelensky e Putin, possa essere considerato un vincitore o meglio: nessuno dei due possa considerato perdente? E davvero sta tutto nelle trattative su quale debba essere lo statuto del Donbas e della Crimea e quale la definizione di neutralità per l’Ucraina, protetta e garantita da altre potenze? O la vera partita in gioco sta “fuori del conflitto”? Cos’è che si sta giocando in Ucraina?

Bisogna tornare per un momento al 2014, quando dopo l’intervento militare russo in Crimea, Barack Obama si auspicò che quella crisi si risolvesse con una "de-escalation" e non con un gioco al rialzo che alla fine sarebbe costato carissimo non solo a Mosca ma all'Occidente intero: se la Russia fosse andata avanti, le sanzioni sarebbero state più dure, non più blocco dei visti e azioni mirate.

In caso di escalation, disse Obama, «faremo molto di più, ci saranno sanzioni commerciali, contro il settore finanziario in genere, contro il settore militare e progetti ingegneristici internazionali della Russia. Potrà essere colpito anche il settore dell'energia. Il costo sarà elevatissimo. E ci saranno costi per alcuni dei nostri alleati, più esposti di altri a un interscambio con Mosca. La Russia oggi è una potenza regionale che cerca di minacciare i suoi vicini partendo da una posizione di debolezza, non di forza». Infine, escluse che la Nato potesse intervenire per proteggere l'Ucraina che non fa parte dell'Alleanza Atlantica. Vice-presidente americano era Joe Biden. E siamo qui. Come una profezia che si auto- realizza. L’aggressione russa ha fatto precipitare tutto, ha reso reale quello che le parole temevano come possibile, indicavano come virtuale.

Putin non ci sta a essere considerato la “potenza regionale” di Obama – vuole il suo posto al sole tra le grandi potenze del mondo. E Biden non ci sta a essere considerato a capo di un impero inesorabilmente in declino, per cui ognuno può fare quello che vuole e gli americani stanno a guardare. L’Ucraina è la “terra di mezzo” di questo scontro: comunque vada, ne uscirà perdente – città e infrastrutture rase al suolo, e ci vorranno decenni per ricostruire, un’emorragia di cittadini a milioni e chissà mai se torneranno, un odio verso i vicini che non basteranno generazioni a placarlo – e vincente nello stesso tempo, perché l’immagine di una indomita resistenza contro un nemico enormemente più forte resterà nella storia, e non solo nella loro. E Putin?

Che si alimenti, intorno questa guerra, una narrazione da “scontro di civiltà” non è solo “colpa dell’occidente”: Putin stesso ha più volte additato la corruzione, la disuguaglianza, la censura, l’ipocrisia come un male delle società occidentali (non molto tempo fa irrise Macron che caricava i gilet gialli e poi si ergeva a protezione dei dissidenti russi). Gioca su un doppio registro – a uso interno e a uso esterno: siamo storicamente un impero e siamo storicamente un paese con un esperimento sociale che funziona meglio del capitalismo e della sua finta democrazia. Se gli obietti che non c’è democrazia e rappresentanza reale - ti risponde: E allora, gli afro- americani? Se gli obietti che c’è una minoranza di persone, gli oligarchi, che hanno accumulato fortune immense - ti risponde: E allora l’uno per cento globalista?

Putin non ha mai avuto interesse a una guerra- lampo. Ha occupato la scena globale da più di un mese, e tutti i notiziari del mondo si aprono e si chiudono con le ultime dall’Ucraina e dalla Russia. Da lui si precipitano i potenti del mondo, a ciascuno dei quali riserva un differente tavolo. E gli israeliani, e i turchi, e i cinesi – sono tutti lì, da lui, a vedere come trovare una via d’uscita. Putin è al centro del mondo – e sinora tutto sommato a lui è costato poco: la distruzione dell’Ucraina e le migliaia di soldati e l’enormità di mezzi mandati avanti. Ha scombussolato l’Ue, creato fratture all’interno di ogni paese, e con la questione di quale soluzione cercare e con la questione dell’aumento della spesa militare. Putin non è Pirro. Il “pericolo” che Putin rappresenta non è perciò nella sua “avidità territoriale”, come se stesse già programmando di invadere la Polonia e i Paesi baltici, dopo l’Ucraina. Putin, piuttosto, ha “fermato” la globalizzazione, che ha sempre fatto leva sull’idea che il mercato è la soluzione ai conflitti e supera le barriere e i confini, ricordando al mondo che esiste un’altra, più antica legge, a regolare le questioni fra stati: la legge della forza. Si invade, si bombarda, si rade al suolo, e poi ci si può anche sedere a un tavolo a “trattare”.

Ecco, è questa la “vittoria di Putin”: un mondo multipolare – come si ama dire adesso – non è un mondo più pacifico e pacificato, ma è un mondo dove possono scoppiare molti conflitti. E da ora possiamo solo sperare che questo non significhi che solo la forza potrà regolarli.