Il dibattito in corso sulla riforma del Csm ha posto alcuni dubbi di natura costituzionale, su cui la dottrina ha cominciato da qualche tempo a misurarsi. Uno di questi riguarda l’ipotesi di introdurre il metodo del sorteggio nell’ambito del procedimento di selezione dei membri del Consiglio. Com’è noto la questione viene declinata secondo due possibili prospettive. La prima è quella dell’introduzione del sorteggio tout court per designare i componenti del Consiglio. La seconda, battezzata “sorteggio temperato”, consiste invece nel prevedere che la selezione dei candidati, su cui poi i magistrati voteranno, sia compiuta, appunto, per sorteggio.

Quanto alla prima ipotesi (sorteggio per la designazione) la ragione della controversia dipende dal fatto che l’articolo 104 della Costituzione prevede che i membri togati del Csm siano “eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie”. Il riferimento all’“elezione” escluderebbe per ciò stesso il sorteggio, trattandosi di due modalità alternative. Uno spunto in questo senso si ricava, in effetti, dalla stessa giurisprudenza costituzionale (sent. 415/ 1994).

Del resto, ogni questione relativa ai “filtri” per la partecipazione a un procedimento elettorale ha sempre due facce. La prima, più evidente, si riflette sull’interesse ad essere eleggibili, sull’elettorato passivo. La seconda, indirettamente, sul diritto degli aventi diritto di esprimersi e far valere le proprie preferenze (l’elettorato attivo). E chiaro che se gli “eletti” fossero scelti per sorteggio, il diritto di elettorato attivo verrebbe completamente meno, perché non sarebbe esercitabile.

Questo mi pare uno dei motivi principali per cui l’ipotesi hard del sorteggio tout court dei componenti del Csm non sia comunque praticabile. Quand’anche si ritenesse che l’espressione “eleggere” (cioè etimologicamente “scegliere”) possa, astrattamente, includere la scelta operata dal caso… resterebbe comunque il fatto che la Costituzione prevede che l’elezione dei membri del Csm sia fatta “da tutti i magistrati”. Il che, evidentemente, esclude che sia fatta, invece, “dal caso”. Per una simile soluzione ci vorrebbe appunto una riforma della Costituzione.

Diverso il discorso per il sorteggio “temperato”. In questo caso i membri del Consiglio verrebbero effettivamente eletti da tutti i magistrati, ma su una platea di candidati (ovviamente se disponibili) ristretta a coloro che siano stati individuati per sorteggio e non in base ad altri criteri (un certo numero di sottoscrizioni, l’auto-candidatura). La lettera della Costituzione sarebbe salva. Ovviamente però l’interpretazione della Carta non si limita al dato letterale. La questione quindi non può essere liquidata sbrigativamente. Ciò detto, la conclusione dell’incostituzionalità anche di questa ipotesi non mi pare così scontata.

È vero che il sorteggio dei candidati incide sull’elettorato passivo, ma qui la questione da capire è se la Costituzione consenta, in questo campo, che il legislatore detti restrizioni, limitando ai soli sorteggiati la pretesa elettorale. A questa domanda nei sessanta anni di vita del Csm nessuno ha dato una risposta negativa. Limitazioni dell’elettorato passivo sono sempre state considerate legittime, purché fosse rispettato il precetto costituzionale per cui la scelta debba ricadere su magistrati appartenenti alle “varie categorie”.

Già dal 1963 la Corte costituzionale, con la sentenza n. 168, ha previsto che “nel sistema adottato dalla Costituzione, eccetto alcune disposizioni fondamentali, come ad esempio quelle sancite dall'art. 48, la disciplina della materia elettorale, date le modificazioni eventualmente determinate dalle mutate esigenze, resta deferita al legislatore ordinario”. E ha concluso che “il principio deve essere applicato anche per quanto attiene al Consiglio superiore della Magistratura, per la formazione del quale, dal punto di vista dell'elettorato passivo, il precetto costituzionale esige soltanto che i componenti siano scelti fra i magistrati appartenenti alle varie categorie (art. 104, quarto comma)”.

Tale conclusione è anche dimostrata dalla prassi legislativa. La legge n. 195/ 1958, nel disciplinare il Csm e in particolare il suo sistema di elezione, è stata modificata numerosissime volte proprio in punto di elettorato passivo. Di volta in volta, ad esempio, sono stati dichiarati eleggibili (per la rispettiva categoria) solo i magistrati di Cassazione purché svolgenti effettivo esercizio delle funzioni di legittimità, oppure anche se non esercenti quelle funzioni, o anche se non ancora dichiarati idonei all'esercizio di funzioni direttive superiori. Ugualmente per i giudici di tribunale, in una certa fase, tutti sono stati considerati eleggibili, mentre in altri periodi solo quelli con tre anni di anzianità o, in altri periodi, con quattro anni di anzianità. La rieleggibilità dei consiglieri uscenti fu prima consentita e, da un certo punto in poi, esclusa. I magistrati che, al momento della convocazione delle elezioni, non esercitino funzioni giudiziarie in una certa fase hanno goduto dell’elettorato passivo e in altra no. Per non parlare dei limiti all’eleggibilità a seconda della gravità o meno delle sanzioni disciplinari ricevute.

Insomma, il tema dell’elettorato passivo è largamente lasciato alla “discrezionalità” del legislatore politico. Allo stesso modo la previsione, a seconda dei momenti, che la candidatura richiedesse un certo numero (variabile nel tempo) di sottoscrizioni di appoggio, fino all’ipotesi oggetto del referendum oggi in campo per abrogare la norma che prevede qualsiasi sottoscrizione (norma che la Corte costituzionale non ha ritenuto costituzionalmente obbligata), dimostra che il legislatore può prevedere diversi “filtri” per limitare la candidabilità.

Se ne desume, a mio parere, che invocare una violazione diretta della Costituzione per l’ipotesi del cosiddetto sorteggio temperato può essere quantomeno discusso. Certo è chiaro che la “discrezionalità” del legislatore non è illimitata e che essa soggiace ai parametri di ragionevolezza dalla Corte costituzionale più volte richiamati.

Ma il giudizio di ragionevolezza, per la sua struttura, risponde a logiche diverse dal contrasto immediato e diretto con una singola norma costituzionale. Esso considera in particolare la coerenza tra il fine perseguito e le soluzioni prescelte. La domanda da porsi, dunque, sarebbe se, di fronte a un sorteggio temperato, l’obiettivo proclamato dai sostenitori di una maggiore apertura e un maggior pluralismo nella competizione per l’accesso al Csm sia in tal modo coerentemente perseguito.

Considerando che, se è vero che essere un buon magistrato non significa necessariamente essere un buon amministratore della magistratura, è anche vero che, come ogni elezione, quella per il Csm non è un concorso basato sull’accertamento della competenza ma sulla preferenza degli elettori, i quali, anche in questo scenario, conserverebbero tutta la libertà di esprimerla.