Che fine ha fatto la Loggia Ungheria? A distanza di oltre due anni dalle prime dichiarazioni del controverso “pentito” Piero Amara, ex avvocato esterno di Eni, nulla è dato sapere. Il fascicolo, da qualche mese, è in mano alla procura di Perugia, dove è arrivato da Milano senza che venisse svolto alcun atto di indagine. Una certezza ribadita da Paolo Storari, pm milanese assolto lunedì dall’accusa di rivelazione di segreto d’ufficio, che ha contestato ogni tentativo dei suoi superiori di affermare che le indagini sulla presunta associazione segreta non sono state insabbiate.

Perché se da un lato i vertici della procura, nel corso degli interrogatori davanti ai pm di Brescia, hanno elencato una serie di atti che rientrerebbero nel fascicolo “Ungheria”, Storari ha smontato pezzo per pezzo ogni affermazione, riconducendo quei singoli approfondimenti ad un altro fascicolo: quello sul falso complotto Eni. È questa, infatti, l’indagine da cui tutto nasce: a partire dal 6 dicembre 2019 e fino all’ 11 gennaio 2020, Amara mette a verbale una serie di nomi di presunti affiliati, tra magistrati, politici e uomini delle forze dell’ordine, tutti capaci di pilotare le nomine ai massimi livelli istituzionali. Ma il fascicolo, rimasto a Milano dal dicembre 2019 al gennaio 2021, non contiene alcuna delega alla Polizia giudiziaria, se non quelle fatte da Storari per identificare i soggetti.

Un’indagine rimasta a «galleggiare» per un anno, nonostante una pesante fuga di notizie. E ciò che viene definito a posteriori atto di indagine, spiega Storari ai pm, sarebbe ben altro: gli incontri con i colleghi di Perugia, dove peraltro «non si è parlato di Ungheria», le intercettazioni e le perquisizioni compiute nell’inchiesta sul “Falso complotto”, i cui decreti erano finalizzati «a totalmente altro», la trasmissione dei verbali a Greco, la rilettura degli stessi da parte di Amara, nonché la loro trascrizione. E senza voler accusare nessuno, dice Storari, «ho avuto l’impressione (…) che si è voluto gabellare per atti istruttori Ungheria robe che non c’entrano niente».

Come ci sia finito sotto processo è ormai noto: Storari, stanco del presunto lassismo della procura, ad aprile 2020 consegna a Davigo (ora sotto processo a Brescia per rivelazione di segreto d’ufficio) dei documenti contenenti le dichiarazioni di Amara sulla presunta loggia, convinto che prima o poi a pagare quel ritardo - ai suoi occhi inspiegabile - sarà proprio lui. Storari, infatti, tenta più di trovare riscontro a quelle dichiarazioni, scontrandosi, però, «contro un muro di gomma».

Insomma, la procura di Milano avrebbe opposto resistenza, sebbene Greco sia stato archiviato dall’accusa di omissione di atti d’ufficio. Rimane ancora in bilico l’aggiunta Laura Pedio, anche lei sotto inchiesta a Brescia, che però, contrariamente a Storari, è rimasta titolare del fascicolo sul falso complotto (nel cui ambito ha chiesto il processo per Amara per calunnia). Le stranezze sono tante: le dichiarazioni di Amara vengono prese in considerazione solo quando tornano utili. «Quando le cose fanno comodo in Eni-Nigeria, buttiamola al processo (…), quando si deve indagare su Ungheria che potrebbe portare al calunnione gravissimo, no», spiega lo scorso 3 febbraio alla giudice Federica Brugnara. Il riferimento è al processo sulla presunta maxi tangente pagata da Eni, processo che ha visto tutti gli imputati assolti. Amara, nelle sue dichiarazioni, disse di aver saputo che le difese del processo erano state in grado di «avvicinare» il presidente del collegio, Marco Tremolada.

Così i vertici della procura, a fine gennaio 2020, decidono di spedire le dichiarazioni di Amara - contenute in «due o tre righe» - a Brescia (che poi archivierà senza iscrivere nessuno), competente per i reati commessi dai o a danno dei magistrati milanesi. Di ciò Storari viene tenuto all’oscuro, tant’è che protesta con Greco e Pedio per iscritto. E Fabio De Pasquale, l’aggiunto che ha rappresentato l’accusa al processo Eni-Nigeria, decide di usarle, nonostante la contrarietà di Storari, al processo, «perché crediamo che Tremolada sia un soggetto che è troppo aderente alle difese», dice il pm ripetendo quanto riferitogli dal collega. Insomma, Amara, per un certo periodo di tempo, risulta credibile.

Una credibilità che è la stessa Pedio a mettere nero su bianco ad aprile 2020, fornendo alla difesa dell’ex legale un certificato di fattiva collaborazione per sostenere la domanda di affidamento ai servizi sociali. Storari, dunque, non si capacita: se è credibile, perché non indagare? Perché non iscrivere nessuno? La risposta, alla fine, se la dà da solo: Amara, dice, non è credibile. E della loggia Ungheria, servita intanto a scatenare l’ennesima guerra interna alla magistratura, non sapremo mai davvero nulla.