C'è il rischio «che questa consultazione referendaria diventi una resa dei conti della politica sulla magistratura a chiusura di una vertenza che è iniziata 30 anni fa con Mani Pulite e che ora alcune forze politiche vogliono chiudere» approfittando «dell'oggettiva perdita di credibilità della magistratura dopo la vicenda Palamara». La sintesi è «che sono ammissibili i referendum che piacciono alla politica e inammissibili quelli che piacciono alla società civile». Lo dice in interviste a "Il Fatto Quotidiano" e "La Stampa", Eugenio Albamonte, pm a Roma, ex presidente dell'Anm e oggi segretario di Area. Sui temi etici «si è usato il microscopio, sulla giustizia no» aggiunge. I due referendum etici «avrebbero aperto nella maggioranza crepe non facili da chiudere; quelli sulla giustizia, vista l'aria che tira, la ricompattano». Prevale la logica «del compromesso politico sulla strategia delle riforme» e i referendum sono «viziati da un paradosso: vengono contrabbandati come una rivoluzione temi che non hanno a che vedere con la funzionalità della giustizia né con la rigenerazione etica della magistratura». Con due quesiti «la politica cerca di salvare sé stessa evitando le misure cautelari per i reati dei colletti bianchi e scongiurando l'espulsione dalle istituzioni dei pregiudicati». La politica «cerca di far fare ai cittadini, ingannandoli, cose che non ha l' improntitudine di fare da sola in Parlamento». Albamonte dice anche di essere «rimasto sorpreso e preoccupato, soprattutto dalle esternazioni con le quali il presidente Amato, parlando di «pelo nell'uovo», ha anticipato la regola di giudizio che avrebbe adottato prima ancora che si riunisse la camera di consiglio. Ma anche quando la sua comunicazione ha assunto un taglio più politico. Il rischio è di indebolire la Corte costituzionale». Ora servirà «una forte mobilitazione, non una fuga dal referendum. Non fosse altro che per spiegare il contenuto dei quesiti».