È presto per dirlo ma alcuni segnali sembrano indicare che la seconda fase del governo Draghi, quella post- elezione presidenziale potrebbe essere diversa dalla prima, forse anche sensibilmente. Ieri mattina, parlando a Genova, ha promesso senza mezzi termini quel che l'intera maggioranza, ma con Carroccio e 5S particolarmente rumorosi, chiedeva da settimane: l'intervento contro il caro bollette. Era inevitabile. La mazzata, che comunque arriverà, sarebbe stata per famiglie e aziende troppo forte. Ma il premier è andato oltre. Ha garantito «un intervento di ampia portata» già nei prossimi giorni. Parole non casuali dal momento che il dubbio era proprio che il governo, volendo evitare comunque lo scostamento di bilancio, mirasse invece a un sostegno modesto. Per un intervento «ampio» lo scostamento potrebbe rivelarsi comunque necessario: in ogni caso il premier assicura che le coperture, anche senza toccare il bilancio, si troveranno. Potrebbe essere un caso. In fondo la crisi energica, che spinge l'inflazione e impone un aumento dei tassi che la Bce sta in tutta evidenza cercando di rinviare sino agli ultimi mesi dell'anno, per dare tempo e respiro alla ripresa ma che alla lunga sarà inevitabile è la vera emergenza del 2022, l'ostacolo imprevisto che rischia di vanificare la strategia messa in campo per superare la crisi Covid e anzi, almeno per quanto riguarda l'Italia, per farne l'occasione storica per trarre d'impeto il Paese fuori dalle secche in cui ristagna da decenni. Però non si tratta dell'unico segnale di un nuovo corso. Draghi, ieri, ha anche aperto le porte alle richieste dei 5S sul Superbonus e lì non si tratta di un ostacolo imprevisto ma del parziale ritorno indietro del governo su una sua decisione. Una retromarcia che, nella prima fase dell'era Draghi sembrava parola proibita e proibitiva. A stringere le maglie del credito d'imposta concesso usando i fondi per la ristrutturazione edilizia come garanzia era stato, nel dl Sostegni 3, proprio il governo, per frenare una corsa alla truffa che è in tutta evidenza già molto lanciata. Il prezzo, però, era l'impossibilità per molti di accedere al Superbonus e certo fa una certa impressione sentire un pentastellato come Sibilia trillare che le truffe non possono fermare il Superbonus 110 per cento. Almeno in parte, e si capirà nei prossimi giorni in quale misura, il premier e il ministro dell'Economia Franco hanno fatto proprio il grido di Sibilia. Tenendo conto di quanto impopolare sia a palazzo Chigi e al Mef il Superbonus, misura che tanto il premier quanto il ministro avrebbero volentieri cancellato già in legge di bilancio, non si tratta di un piccolo passo. Ventiquattr'ore prima a tirare un mezzo sospiro di sollievo era stata la Lega. In quel caso le pressioni erano ancor più stringente e venivano da fonti tra le più autorevoli e ascoltate a palazzo Chigi. La Ue e in Italia il Consiglio di Stato hanno bocciato la proroga delle concessioni fino al 2034. Reclamano le gare subito, ai sensi della Bolkenstein e la Ue si accinge a partire con quella procedura d'infrazione contro l'Italia minacciata già dal dicembre 2020 con un lettera di ' messa in mora' rimasta segreta fino a poche settimane fa. Non sembrava esserci alternativa all'avvio delle gare, tanto più che i 5S, con un voltafaccia a dir poco clamoroso, si sono schierati con Bruxelles. Nell'incontro con i ministri leghisti di martedì sera, invece, Draghi e il sottosegretario Garofoli hanno aperto più di uno spiraglio. Si sono impegnati a convocare un tavolo con tutte le parti interessate per «affinare una proposta condivisa a tutela del settore». Insomma, se alle parole seguiranno i fatti, c'è una sin qui poco marcata disponibilità alla mediazione, sia sul versante del Superbonus che su quello delle concessioni, per non parlare del pezzo forte, il sostegno contro il caro bollette. Forse nel corso della sfida per il Colle Draghi ha toccato con mano quanto forte fosse l'insoddisfazione che correva sotto traccia in tutti i partiti, costretti per mesi a fare d spettatori. Forse ha pesato il monito molto severo del capo dello Stato nel primo discorso del suo secondo mandato. Forse il pragmatico Draghi si rende conto che nell'anno precedente le elezioni i partiti non possono essere lasciati nell'impotenza e nell'afasia. Per una ragione o per l'altra, o per tutte insieme, non è affatto escluso che il premier miri ora a impostare il rapporto con i partiti della sua maggioranza con uno stile del tutto nuovo.