L’elezione di Mattarella è avvenuta per sfinimento dopo molte votazioni: non si sono trovate soluzioni idonee e condivise per la assoluta incapacità di chi pretendeva di guidare le operazioni in Parlamento. Si sarebbe dovuto capire dall’inizio che, per le condizioni date, la soluzione non poteva che essere Sergio Mattarella o Mario Draghi. Se Mattarella fosse stato eletto a primo scrutinio avrebbe vinto la politica, perché se Draghi era indispensabile al governo la politica aveva il dovere di chiamare Mattarella garante di quel governo come soluzione al di fuori delle fazioni e delle contese. I giornalisti in questi giorni hanno chiesto varie volte il parere alla vecchia classe dirigente esperta di elezioni per il Presidente della Repubblica, e come esponente di lungo corso dico che se un anno fa, di fronte alla crisi incombente, il Presidente Mattarella era corso ai ripari chiamando Mario Draghi a guidare il governo, e l’iniziativa è stata risolutiva come tutti riconoscono vale allora la reciproca: non solo Draghi ma i partiti e i gruppi parlamentari in armonia con il Paese avevano il dovere di chiamare Mattarella come soluzione risolutiva nell’interesse del Paese. In queste ore, oltre all’epidemia, alle difficoltà sociali ed economiche, alla crisi europea e mondiale, c’è una constatata crisi politica e un’assenza di egemonia da parte dei partiti che non consente di trovare una soluzione su nomi politici di alto profilo. Il governo Draghi regge e reggerà con Mattarella Presidente della Repubblica, soluzione che non fa nessun vincitore e nessun vinto, ma porta benefici al Paese e alle istituzioni. Mattarella ha naturalmente rispettato la volontà del Parlamento. Se si fosse mandato al Quirinale Mario Draghi era necessario dare una guida politica al governo, ma su questo si è verificato la incapacità dei partiti dei gruppi parlamentari, che non sono riusciti a mettersi d'accordo con un Parlamento così frazionato. La valutazione generale di tutti i commentatori politici è che la “politica“ ha fallito: è una considerazione scontata perché la politica non può risorgere improvvisamente come l’araba fenice in presenza di capi (non leader) non all’altezza della situazione. Queste le valutazioni sui partiti, ma bisogna riconoscere che il risultato ottenuto con l’ elezione di Mattarella è una vittoria del Parlamento. Non ha importanza se i deputati o i senatori hanno votato Mattarella con un crescendo, in ogni votazione, per dare stabilità al governo e al Paese, ma anche per evitare lo scioglimento delle Camere, che è pur sempre un trauma per e istituzioni, sta di fatto che hanno fatto maturare con i voti spontanei o in qualche modi organizzati una proposta razionale e logica che i “capi” non avevano capito e che anzi avevano rifiutato. I parlamentari sono sempre i rappresentanti del popolo e questa volta hanno interpretato la volontà e i desideri di tanti che in un momento ancora drammatico per la vita del paese chiedevano stabilità e se possibile una strategia idonea e una politica governativa per utilizzare in maniera virtuosa fondi europei per lo sviluppo economico e sociale del Paese. E quando vince il Parlamento vince comunque la democrazia! Ma la crisi dei partiti e il disconoscimento di una idea della politica ha raggiunto un decadimento non ipotizzabile neppure dai più pessimisti. Le coalizioni sono saltate, definitivamente ma non erano mai esistite perché il bipolarismo non si è mai configurato come tendenza politica nel Paese, è stato sempre un’astrazione, è stato inventato e ha costretto i partiti a stare insieme in improbabili e scadenti comitati elettorali. In politica non funzionano queste astrazioni anche perché in verità gli stessi movimenti - partiti sono ammucchiate senza anima e senza la consapevolezza di quelli che partecipano. Ognuno sta male nel suo movimento e ci sta provvisoriamente come abbiamo ben verificato in questa legislatura. È insopportabile per i cittadini sentire ad ogni piè sospinto che “la coalizioni è compatta” perché si sentono presi in giro e mi auguro che dopo lo spettacolo della settimana scorsa nessuno abbia il coraggio di ripeterlo. C’è bisogno di una scomposizione e ricomposizione dei gruppi politici presupposto di nuove aggregazioni che abbiano la volontà di ispirarsi ad una cultura, a una ragione politica che superi il comitato elettorale. Dopo queste valutazioni aggiungo che non basta ribadire la critica ai partiti che sono solo personali e quindi inesistenti, e declamare la fine della politica. Qualche mese fa scrivevo “che cosa deve ancora capitare per convincere quelli che intendono fare politica che la condizione per una rigenerazione è il ritorno alla legge elettorale proporzionale per ridare identità ai partiti”. Sono capitate tante cose in questi anni dopo le elezioni del 2018 che bastavano per convincere tutti ad abbandonare sistemi elettorali misti ed equivoci come quelli sperimentati negli anni passati. Ma ora dopo la dichiarazione solenne, sostanziale e formale, della fine della coalizioni e del ruolo dei partiti per quello che è successo in Parlamento la settimana scorsa, ognuno, facendo prevalere un po’ di buon senso, dovrebbe rendersi conto che una legge proporzionale per le elezioni politiche è il presupposto indispensabile per caratterizzare il proprio movimento, per farlo diventare partito. Silvio Berlusconi avrebbe l’interesse per rafforzare, in armonia con il Ppe, l’anima centrista di Forza Italia; Enrico Letta per non disperdere quel poco d’identità che ancora ispira il Pd; Giorgia Meloni, nel naufragio del centro destra, per caratterizzare la sua posizione di opposizione e mancare la sua identità in maniera autonoma. L’elezione di Mattarella all’apparenza rende stabile la situazione parlamentare e governativa, ma in concreto non è possibile che tutto resti come prima. La dissoluzione dei movimenti che si credevano partiti non può non determinare mutamenti o sconvolgimenti, per cui un sistema elettorale proporzionale della raccolta del consenso può consentire la rinascita dei partiti. È la battaglia da combattere nei prossimi mesi!