Il Csm dice no all’istanza di ricusazione avanzata dal deputato di Italia Viva Cosimo Maria Ferri nei confronti del consigliere togato Giuseppe Cascini, ritenuto idoneo a far parte del collegio chiamato a decidere sulla ricusazione principale, quella nei confronti del collegio che lo giudicherà per i fatti dell’Hotel Champagne. Ferri, magistrato collocato fuori ruolo, in aspettativa per mandato parlamentare, aveva contestato la presenza di Cascini per via di una mail inviata dallo stesso il 28 febbraio 2015 alla mailing list dell’Associazione nazionale magistrati e all’allora segretario di Mi, mail nella quale Cascini criticava Ferri, che a suo dire era entrato a far parte della compagine governativa quale sottosegretario per interesse personale. Tra le altre prove portate da Ferri anche le dichiarazioni di Palamara davanti al gup di Perugia Piercarlo Frabotta circa un loro incontro durante il quale Cascini lo avrebbe invitato a «non frequentare Ferri, non te lo dico più!». Audito dalla sezione disciplinare, Cascini ha affermato che era stato Palamara a chiedergli un incontro per parlare dell’elezione del vice presidente del Csm. Le chat, però, dimostrerebbero il contrario: sarebbe stato lui a chiedergli un incontro e dopo l’elezione di David Ermini, avvenuta a settembre del 2018. Il 4 ottobre scorso Ferri, assistito dall’avvocato Luigi Antonio Paolo Panella, ha presentato istanza di ricusazione nei confronti di Filippo Donati (Presidente), Stefano Cavanna, Carmelo Celentano, Alessandra Dal Moro, Michele Ciambellini e Antonino Di Matteo, evidenziando come gli stessi abbiano già fatto parte del collegio che ha giudicato i cinque consiglieri dimessisi dopo lo scandalo dell’Hotel Champagne. Da qui la formazione di un nuovo collegio per decidere sull'istanza di ricusazione e la nuova istanza presentata da Ferri contro Cascini. Secondo il collegio disciplinare, però, «non risulta (...) documentato alcun elemento concreto che possa in qualche modo lasciar trasparire circostanze, situazioni, indizi o argomenti idonei a poter ipotizzare l'esistenza di una relazione personale di "grave inimicizia"». L’ultima udienza del disciplinare era fissata il 27 gennaio, nel pieno delle elezioni del Presidente della Repubblica, che vedeva Ferri impegnato in Parlamento. Una scelta, quella di calendarizzare l’udienza durante le operazioni di voto, avvertita da molti come uno sgarbo nei confronti del deputato. Che ha dunque chiesto un rinvio, sul quale la Prima Commissione si è pronunciata soltanto alle 19 del 27 gennaio, ovvero molto dopo rispetto all’orario fissato per l’udienza. Il procedimento disciplinare è stato dunque rinviato al 14 febbraio, giorno in cui è prevista la presenza del collegio guidato da Donati. La sensazione è, dunque, che il procedimento andrà avanti con gli stessi giudici che hanno deciso la sospensione per i cinque consiglieri presenti all’Hotel Champagne. Ma nel caso di Ferri si dovrà fare i conti con la decisione presa dalla Camera, secondo cui le conversazioni captate nell’ambito dell’inchiesta su Luca Palamara e che vedono coinvolto il deputato sono state acquisite «illegittimamente». Proprio per tale motivo, il 14 gennaio scorso, Montecitorio ha votato no alla richiesta avanzata dal Csm di utilizzare quelle telefonate, che sono la prova principale del procedimento disciplinare a suo carico. Secondo il deputato e la maggioranza della Camera, le intercettazioni che lo riguardano non sarebbero state casuali: si sarebbe trattato, invece, di intercettazioni indirette, finalizzate ad ascoltare anche Ferri, nel quale gli inquirenti potevano prevedere di imbattersi, con l’obbligo, dunque, di spegnere il trojan. Il Csm o la procura generale della Cassazione, ora, potrebbero sollevare il conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale, lamentando una menomazione delle proprie prerogative di organo titolare dell’azione disciplinare. Una decisione che garantirebbe una valutazione in diritto e che però potrebbe rappresentare la pietra tombale sul procedimento disciplinare.