Che l’elezione di Giuliano Amato a presidente della Corte costituzionale s’intrecci suggestivamente con la tormentata sfida del Colle, lo si vede da vari piccoli segnali. Intanto stamattina, poco prima che verso le 12 l’ex presidente del Consiglio fosse indicato all’unanimità (dagli altri giudici costituzionali) al vertice della Consulta, si era dovuto procedere al giuramento del nuovo componente della Corte Filippo Patroni Griffi, indicato dal Consiglio di Stato per avvicendare il presidente uscente Giancarlo Coraggio, che ha concluso i propri 9 anni a Palazzo della Consulta giusto ieri. Immaginatevi la scena: il giuramento, come da prassi, avviene al Quirinale, dunque nelle mani del presidente in carica, Sergio Mattarella appunto. E dunque, mentre i partiti si consumavano nel loro fallimento e si accingevano ad andare a loro volta in pellegrinaggio al Colle per chiedergli in ginocchio di restarci, lui il Capo dello Stato, continuava tranquillamente a esercitare le funzioni. Vi dice nulla, come sequenza simbolica? A voler condire il tutto, tenete presente che al giuramento di Patroni Griffi c’erano pure la protagonista di uno dei tentativi più dolorosi degli ultimi giorni, Maria Elisabetta Alberti Casellati, e la terza carica dello Stato, Roberto Fico, che presiede l’Aula nel voto per la presidenza della Repubblica. Infine, Mario Draghi, protagonista implicito dell’intera vicenda Colle. Una specie di pausa collettiva di riflessione. Poco dopo si riunisce la Corte costituzionale al completo ed elegge all’unanimità, come detto, Giuliano Amato presidente. È lui il giudice più anziano, la prassi vuole che sieda al vertice della Consulta, il che non ha alcuno dei sempre presunti effetti in termini di benefit: ai presidenti uscenti non toccano né macchine blu né altre leggendarie ma ormai inesistenti prebende. Amato nomina subito i vicepresidenti, sempre da prassi: sono i giudici Silvana Sciarra, Daria de Pretis e Niccolò Zanon. Tutti valentissimi, il terzo peraltro redattore di alcune fra le recenti sentenze garantiste emesse dalla Corte in materia di ergastolo e carcere ostativo.

Amato in conferenza stampa: «Sulle donne, noi maschi dovremmo vergognarci»

Bene. A proposito delle due vicepresidenti donne, proprio a partire dalla questione di genere Amato regala, nell’immediatamente successiva conferenza stampa, un saggio della propria arguzia, che fa di lui un auspicabilmente ritrovato protagonista del dibattito pubblico, seppure i presidenti della Corte in carica tendano a parlare assai poco, al di fuori dei tradizionali appuntamenti annuali con la stampa: «Continuiamo a non essere pari, continuiamo a vedere la donna più dalla cintola in giù». È sferzante, spietato: «Anche i giovani spesso trovano identità nella cultura machista, noi maschi abbiamo di che vergognarci e questo è un problema: non chiediamo al Parlamento di risolvere qualcosa che è dentro di noi». E invece il legislatore dovrebbe dare segnali su altro: «La Corte indica una delle soluzioni possibili», premette, in rifermento ad alcune delle questioni affrontate di recente, incluse l’ergastolo ostativo e il suicidio assistito, e poi però avverte: «Saremmo più contenti se si trovassero soluzioni in Parlamento». Anche qui parla chiaro e non fa sconti, In generale: «La collaborazione tra Corte costituzionale e Parlamento diventa fattore essenziale, tanto più nel caso di conflitti sui valori». Ma visto che spesso le soluzioni non arrivano, i problemi restano, innanzitutto sul carcere: «In passato dicemmo, sul sovraffollamento, che bisognava provvedere, perché la situazione non sarebbe stata ulteriormente tollerabile. Ora siamo nuovamente sulle 52mila, 53mila presenze: se ci fosse riproposta una questione su questo tema, ci troveremmo di fronte alla responsabilità di affrontarla». Avvertimento severo, ma in fondo rassicurante: mal che vada, c’è sempre la Consulta, per fortuna. Amato, da “quirinabile appena scampato”, non si nega su discorsi presidenziali riferiti al Colle («se si decide di cambiare, penserei al modello francese») e poi ricorda che a fine settembre andrà «in pensione», come giudice e come presidente della Consulta. «Fino ad allora mi troverete qui». Sarà breve, ma certamente intenso.