La relazione del presidente dell'Ordine degli avvocati di Potenza, Maurizio Napolitano, in occasione della cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario 2022 Sig.ra Presidente, Sig. Procuratore Generale, Autorità, Signore e Signori, rivolgo a Loro, in occasione di questa cerimonia, il saluto cordiale e referente degli avvocati di Potenza, a cui anche i Colleghi Izzo di Matera e Tanzola di Lagonegro oggi purtroppo assenti, si associano. Per il secondo anno consecutivo ci ritroviamo ad inaugurare l’anno giudiziario ancora in emergenza pandemica, lasciando alle spalle le difficoltà affrontate sul piano umano e professionale, e guardando al futuro con fede incrollabile, fondata quanto meno sulla buona volontà di ciascuno. Vi è comunque un aspetto positivo nella pandemia: con essa l’Europa ci ha consegnato i semi da piantare per la rinascita dalla Giustizia italiana quasi che noi non avessimo avuto il tempo o la capacità di affrontare seriamente il problema. In questo obbligato Rinascimento, che mi sia consentito accogliere con moderato ottimismo, il 14 maggio scorso le Ministre della Giustizia e per il Sud hanno firmato un decreto che istituisce la commissione interministeriale per la giustizia del sud, con l’intento di esaminare ed elaborare proposte di intervento sul fronte della giustizia nelle nostre disagiate aree geografiche. Lo scopo è quello di rimodernare la Giustizia per implementare gli “investimenti privati nazionali e internazionali”, superando le carenze, ed importando le esperienze che si sono formate in uffici giudiziari di altri territori. Lo sviluppo delle aree del Mezzogiorno è stato quindi concepito come un detonatore capace di stimolare investimenti per “generare reddito, creare lavoro, invertire il declino demografico e lo spopolamento delle aree interne”. Tra i compiti della Commissione vi è quello di formulare proposte finalizzate al miglioramento delle condizioni di lavoro degli operatori, al superamento delle carenze relative all’edilizia giudiziaria e all’applicazione dell’intelligenza artificiale, per supportare il giudice nelle sue funzioni e garantire efficienza dei tempi processuali. Sia consentito nutrire però qualche dubbio sulla buona riuscita dell’operazione non foss’altro per la titanica impresa che la commissione è chiamata a svolgere, non potendo dimenticare la previsione infausta che lo Svimez ha anticipato nel suo recente rapporto annuale sullo stato dell’economia e della società del Sud Italia. Si conferma, anche dopo i primi segnali di ripresa, il divario fra il Sud e il Centro-Nord. Dopo un 2020 nel quale la pandemia ha reso sostanzialmente omogenei gli andamenti territoriali nel Paese, quest’anno la crescita del Pil del Centro-Nord si attesterà ad oltre un punto percentuale più in alto rispetto a quello del Sud. Il rimbalzo, dunque, ci sarà per l’intero territorio italiano, ma con il Mezzogiorno che resta comunque, pur in un quadro generalizzato di ripresa economica, meno reattivo e pronto a rispondere agli stimoli di una domanda legata soprattutto a due fattori: esportazioni e investimenti. Svimez sottolinea inoltre come una giustizia efficiente possa diventare fattore fondamentale per la competitività, in particolare delle imprese, ancor più nel Mezzogiorno, dove si segnala sempre la più alta domanda di giustizia. Ampio e persistente resta il divario di efficienza tra i tribunali del Centro-Nord e quelli del Mezzogiorno, con la pandemia i tempi non sono cambiati di molto, anzi, in molti casi si sono sommati rinvii su rinvii con conseguenti lungaggini sulla durata dei procedimenti. Allora o il Mezzogiorno decolla o resta indietro: «Una giustizia efficiente può diventare fattore fondamentale per la competitività, in particolare delle imprese, ancor più nel Mezzogiorno» ci ricorda il rapporto Svimez 2021. Nel Sud, i numeri impattano poi con un contesto segnato da un alto tasso di disoccupazione, da un diffuso clima di sfiducia nelle istituzioni, da istituzioni spesso assenti. Il che si traduce, a sua volta, in più indagini, più processi, più cause civili e la Basilicata di questo ne è testimone. Il problema, dunque, si sposta non solo sulla quantità ma anche sulla qualità dei processi, a tutti interessa avere una risposta di qualità dalla giurisdizione, il cittadino deve poter contare su una giustizia celere ma anche giusta. La politica, invece, in questo momento più che mai, è proiettata verso i nuovi standard indicati dal famigerato PNRR, per cui l’obiettivo primario sembra essere la celerità delle decisioni più che la loro qualità. La vera sfida, tuttavia, è legata adesso alla riforma della giustizia e alla novità introdotta con l’Ufficio del processo. Si comincerà a febbraio: gli addetti assunti nell’ambito del PNRR entreranno in servizio con il compito di studiare i fascicoli e redigere le schede riassuntive dei procedimenti e supportare il giudice in una serie di attività che vanno dalla bozza di provvedimenti semplici all’organizzazione di fascicoli e udienze, approfondimenti giurisprudenziali e dottrinali, processi di digitalizzazione. E’ tuttavia ancora di questi giorni l’incertezza degli avvocati che non conoscono i limiti alla incompatibilità tra l’esercizio della professione e l’appartenenza all’Ufficio del processo. Credere che la riforma della giustizia possa essere in sé stessa risolutiva delle problematiche che la affliggono, senza indagare le cause alla radice del problema, è mera utopia. Ciò che è necessario è prima di tutto una radicale riorganizzazione degli uffici giudiziari, facendo in modo che possa pretendersi da ognuno degli ingranaggi del meccanismo un impegno idoneo a raggiungere l’obiettivo costituzionale – impostoci a livello sovranazionale e internazionale – del giusto processo. L’Europa però non si occupa della qualità della giustizia che è un problema interno ai singoli stati, e che può essere sindacato dalla Corti europee soltanto in relazione ad indici esteriori riconducibili alla realizzazione di un processo giusto, che non dà necessariamente luogo ad una sentenza giusta. All’Europa interessa solo che i processi non incidano in misura eccessiva sull’andamento dell’economia applicando anche alla giustizia la valutazione basata sul rapporto costi benefici. E l’Italia pur di ottenere i fondi si è impegnata a ridurre drasticamente le pendenze e le durate dei processi. In questa stagione di rinascita si pone la riforma della giustizia civile, quella che non si è riuscito a fare per decenni, ovvero ci si è provato con interventi improvvisati di raffinata e a volte inutile microchirurgia sul codice di rito, rigorosamente a costo zero: oggi è questa la pietra angolare della nostra credibilità. Tutta l’Europa ci guarda. Per il processo civile la chiave di lettura della riforma è semplificazione a tutti i costi. Il modello di riferimento è costituito dal vigente rito sommario elevando a sistema un procedimento che il giudice può modellare a suo piacimento omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio. Ma il processo civile non può smettere di essere un processo di parti, non può smettere di essere cosa privata. Il giudice che, nella sua posizione di terzietà, nella sua posizione sopraelevata rispetto alle parti, amministra il processo, ne decide i tempi, calendarizza le udienze, rispondendo alla logica di un processo flessibile adatto all’esigenza di tutela, ripropone un processo la cui conduzione è affidata al magistrato che ne organizza i tempi secondo il proprio prudente apprezzamento, dove le parti c’entrano poco. In tale contesto è forte il timore che i collaboratori reclutati per formare l’ufficio del processo, finiranno per essere utilizzati non per aiutare il giudice, ma per partecipare attivamente ed in prima persona all’operazione. Tutto ciò ha l’aspetto di una resa: abbiamo rinunciato a pensare che il processo deve tendere ad una decisione giusta, dovendoci accontentare di una soluzione ragionevole delle controversie. La dolorosa conclusione è che per volere tutto finiremo con l’avere una scarsa qualità dei provvedimenti giudiziari. Infine mi sia consentito un amaro passaggio sulla necessità di una effettiva riforma dell’ordinamento giudiziario anche alla luce delle recenti sentenze che hanno decapitato i vertici della magistratura italiana. Sig. Procuratore Generale quel castello kafkiano che S.E. l’anno scorso, nella stessa occasione di oggi, citò nella Sua relazione, è sempre più lontano, è sempre più oscuro agli occhi del cittadino alla ricerca della giustizia. Il cittadino non è più in grado di comprendere se il proprio magistrato inquirente o il proprio giudice esercitino legittimamente la propria funzione. In questa ora di allarme, gli avvocati rivolgono al Ministro l’invito ad acquisire coscienza di quanto la riforma dell’Ordinamento Giudiziario oggi in discussione sia ancora troppo lontana dalla radicale e rivoluzionaria riforma della quale ha bisogno la Magistratura stessa e l’intero Paese. Il c.d. Ordinamento Giudiziario è la prima legge fondamentale del sistema penale, a dargli corpo e sostanza sono le deliberazioni del C.S.M. e qualsiasi dubbio sulla correttezza dei suoi componenti rischia di alimentare sospetti sui singoli pubblici ministeri e sui singoli giudici, sulla loro terzietà, imparzialità ed equidistanza dalle parti, dai partiti e dalle correnti. I cittadini hanno il diritto di rivendicare fiducia nella magistratura. Alla crisi morale della magistratura, in tale difficile contesto, si aggiunge poi la grave crisi dell’avvocatura: come ricordava ieri in Cassazione la neo presidente del CNF, è il momento che ogni classe che non voglia essere spazzata via dall’avvenire che incalza, si chieda su quali titoli di utilità comune essa potrà basare il suo diritto ad esistere domani. Una avvocatura che non comprende il proprio ruolo e la propria funzione è destinata inevitabilmente a soccombere. È vero, la crisi identitaria dell’avvocatura è imputabile principalmente alla sua resistenza endemica al cambiamento, ma è dovuta anche a riforme inique e confuse che mirano a mettere in dubbio la sua funzione di carattere pubblico. È allora necessario, unendoci all’auspicio della Presidente Masi, affrontare insieme questo problema di educazione nell’ordinamento giudiziario in cui riconoscere costituzionalmente attrice, al pari della magistratura, l’avvocatura e di cui dovrà sempre esserne salvaguardata l’autonomia e l’indipendenza per garantire gli equilibri necessari al sistema giudiziario, ciò è necessario se vogliamo realizzare la, mai quanto ora, avvertita esigenza di una giustizia equa. Buon anno giudiziario.