La relazione del presidente dell’Ordine degli avvocati di Ancona Maurizio Miranda in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2022.  Prima di cominciare vorrei dedicare questa relazione alla memoria del giovane collega Avv. Luca Bolletta, poco più che trentenne, che proprio ieri ci ha prematuramente lasciato. Illustrissimo sig. Presidente della Corte di Appello, signori magistrati tutti, autorità civili, amministrative, militari e religiose, sig. Procuratore Generale, vi porto i saluti dell’Ordine degli Avvocati di Ancona, di tutti gli Ordini del distretto e di tutti i Colleghi che oggi mi trovo a rappresentare in questa occasione, anche quest’anno unica voce dell’Avvocatura delle Marche che sia “in presenza” e ciò a causa delle restrizioni dovute al fenomeno pandemico che è ancora in corso e che nuovamente colpisce anche questa occasione di riflessione e confronto sui temi della Giustizia. Ed anche quest’anno non possiamo che constatare quanto la pandemia continui ad incidere non solo sul nostro vivere quotidiano ma anche sulla nostra attività professionale e, in definitiva, sulla tutela dei diritti dei cittadini alla quale la nostra attività è sempre dedicata. È dunque con estrema amarezza che dobbiamo constatare come poco si sia imparato dall’evento che ha colpito le nostre esistenze, evento che ci restituisce un mondo che probabilmente non sarà mai più lo stesso. Abbiamo imparato veramente poco, e conferma di ciò è il fatto che anche quest’anno questa cerimonia si tiene a porte chiuse, così allontanando dalla Giustizia non solo l’Avvocatura ma anche tutta la società civile cui è impedito di partecipare. Spettatori passivi, dall’altra parte di uno schermo. E questo rischia di trasformare il più importante evento comunicativo della Giustizia in un’ ordinaria trasmissione televisiva, fortunatamente priva della presenza di virologi ed epidemiologi che oggi riempiono i palinsesti qualificandosi come le nuove proposte di uno star system del quale vorremmo francamente poter fare a meno. Comunque, se dobbiamo imparare a convivere con questa nuova realtà sanitaria è doveroso verificare cosa sia stato fatto e cosa si possa fare per rendere, nel nostro ambito, questa convivenza meno dannosa possibile. L’Avvocatura ha da sempre evidenziato le conseguenze che sono derivate e ancora derivano al sistema giustizia da scelte politiche certamente non soddisfacenti. E ugualmente non possono ritenersi soddisfacenti gli strumenti che sono stati approntati a seguito delle recenti iniziative adottate a livello di Unione Europea. Chi ha avuto la pazienza di leggere le 269 pagine illustrative del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza non può non aver trovato nelle stesse il più ampio conforto a quanto l’Avvocatura da tempo sostiene. Ciò nonostante, è una dolorosa ferita all’orgoglio di appartenere a questo Paese leggere che “gli ostacoli agli investimenti nel Paese risiedono anche nella complessità e nella lentezza della Giustizia” che “mina la competitività delle imprese e la propensione a investire nel Paese”. È dunque incontestabile la lentezza dei processi e che la stessa deve essere maggiormente contenuta con interventi di riforma processuale e ordinamentale nonché con il potenziamento delle risorse umane e delle dotazioni strumentali e tecnologiche dell’intero sistema giudiziario. Non si deve però dimenticare che una giustizia giusta non è solo “misurabile a tempo” ma ha bisogno della qualità dei provvedimenti, unico elemento che può effettivamente porre il cittadino al centro della attività Giurisdizionale ed alla attenzione del giudice, obiettivo di qualità al quale certamente anche l’Avvocatura può contribuire unitamente all’attività del Consiglio Giudiziario per porre in essere un monitoraggio che rappresenti un effettivo strumento di conoscenza dell’attività giurisdizionale. Sembra di ascoltare le parole dell’Avvocatura quando si legge che “un incremento del numero dei magistrati e degli operatori del settore giustizia costituisce un fattore indispensabile, ancorché non sufficiente, per il conseguimento degli obiettivi”. È però di difficile comprensione l’azione posta in essere per incrementare la dotazione organica dei magistrati solo per 600 unità laddove poi la stessa viene definita comunque insufficiente “per portare il numero di magistrati in Italia in linea con la media dei paesi europei”. Ecco, allora, l’emergere di nuove figure deputate a rendere maggiormente efficace la Giustizia: l’Ufficio del Processo. Si rispolvera un istituto già introdotto con il D.L. 90/2014 in ragione di una sperimentazione i cui frutti non sono pervenuti. Un istituto che avrebbe dovuto essere composto dal personale di cancelleria, dai tirocinanti e dai giudici onorari, il tutto con l’ormai tristemente nota previsione secondo cui l’attuazione dell’Ufficio deve avvenire “nell'ambito  delle  risorse disponibili e senza nuovi o maggiori oneri  a  carico  della  finanza pubblica”: le solite nozze con i fichi secchi. Il rinnovamento della figura passa dunque attraverso la modifica dei soggetti che possono concorrere all’assunzione dell’incarico, per la quale costituisce titolo valutabile il possesso dell’abilitazione alla professione di Avvocato. Ancora una volta, dalle fila dell’Avvocatura arriva un supporto all’esercizio della funzione giurisdizionale senza peraltro specifiche indicazioni circa il contemporaneo esercizio della professione. Un’altra disattenzione, un altro sgarbo nei confronti di una categoria che sempre ha partecipato ai tentativi di risolvere i problemi ormai cronici del sistema Giustizia. Supporto peraltro poco apprezzato e poco valutato, posto che i Colleghi sono chiamati a svolgere un compito certamente di rilievo ma solo per un periodo di tempo determinato. Precariato ed anche mal pagato… ma veramente è questo ciò che si intende fare per raggiungere gli obiettivi che l’Europa ci indica? Viene spontaneo chiedersi quale sia la logica perversa che induce a predisporre un concorso su base nazionale – con tutto ciò che ne deriva in termini di costi e impegno – per assicurare una dotazione organica all’Ufficio per soli tre anni, accompagnata dal “miraggio” di un’eventuale stabilizzazione, espressamente contemplata dal Piano ed evidente figlia di un costume secondo cui nel nostro Paese non vi è nulla di più duraturo di ciò che è definito precario e temporaneo. Giusto il tempo di formarsi compiutamente che è giunta l’ora di tornare alle proprie precedenti occupazioni. Viene spontaneo chiedersi se è verosimile pensare che questi tre anni siano sufficienti per raggiungere gli obiettivi di smaltimento dell’arretrato e per rendere la Giustizia celere ed efficace. Ma soprattutto viene spontaneo chiedersi se veramente qualcuno crede che dopo questi tre anni il sistema sia capace di funzionare in maniera ottimale e dunque superare le critiche che ci vengono mosse dall’Unione Europea da tempo, da prima che si parlasse di pandemia, così da poter rispedire alle proprie case i “triennalisti del diritto”. Ancora di più, viene da chiedersi se le “attività collaterali al giudicare” demandate all’Ufficio - ricerca, studio, monitoraggio, gestione del ruolo, preparazione di bozze di provvedimenti – non rappresentino in realtà un vero e proprio subappalto della funzione giurisdizionale. Anche gli interventi sul processo civile previsti dal Piano destano più di una perplessità. Soppressione di Udienze superflue, sinteticità degli atti, riforma del sistema delle impugnazioni, filtri di ammissibilità e predilezione della definizione camerale in sede di legittimità, con buona pace e totale disinteresse nei confronti della Sentenza della CEDU che ha fortemente censurato il rigore formalistico del processo per cassazione definendolo un vero e proprio ostacolo all’accesso alla tutela giurisdizionale. Ma non è così che si può avere una giustizia giusta ed efficace, non è comprimendo e sopprimendo la figura e la funzione del difensore che si assicura al cittadino la tutela dei propri diritti: è la qualità delle sentenze che deve essere individuata quale miglior filtro delle impugnazioni, senza necessità di introdurre strumenti che chiaramente tendono a colpevolizzare l’Avvocato, visto quale presunto reo della proposizione del gravame piuttosto che quale “rimedio di prima istanza” cui il cittadino rivolge la propria domanda di giustizia. Le situazioni di criticità conseguenti alla pandemia e comunque al “generale stato delle cose” che dobbiamo purtroppo registrare nella disamina del sistema complessivo trovano purtroppo riscontro anche nella nostra realtà locale. Il sistema di calendarizzazione e prenotazione degli accessi agli Uffici può rappresentare in teoria un strumento ideale per ottimizzare detto accesso ed evitare assembramenti ma diventa strumento diabolico ed infernale laddove viene usato in maniera rigida ed ottusa senza considerare le situazioni di urgenza per le quali non è ammissibile che si consenta di consultare un fascicolo dopo che si sia celebrata la relativa Udienza. È insensato aver condotto una battaglia per ottenere la determinazione della capienza delle aule di giustizia quando poi le Udienze vengono calendarizzate – parrebbe da un software di gestione evidentemente incapace di gestire – tutte alla medesima ora con conseguente ressa al di fuori dell’aula che già poco dignitosa prima del 2020 oggi rappresenta anche un pericolo per la salute. È insensato depotenziare i servizi di supporto ai sistemi informatici, percorso esattamente in opposizione alla tensione di tutto il settore Giustizia verso una sempre crescente informatizzazione. È insensato assistere passivamente ad un vero e proprio “spegnimento” dell’Ufficio NEP, ormai ridotto ai minimi termini e prossimo a perdere ulteriori unità di personale. E’ assolutamente illogico prevedere la celebrazione in presenza di Udienze per le quali le parti potrebbero richiedere la trattazione da remoto ovvero cartolare ed è totalmente privo di senso disporre che si debba procedere allo svolgimento delle aste telematiche solo in presenza, un vero e proprio ossimoro. Non si può più ascoltare l’orchestrina che suona mentre la nave affonda…. Non è più il tempo di difendere posizioni preconcette ed egoistiche che oggi più che mai appaiono fuori luogo ed insufficienti ad affrontare una situazione che è ben più complessa di quanto mai si sia verificato in passato. Da oggi si spera possa dunque partire un nuovo corso, si spera che quanto è accaduto e quanto sta ancora accadendo sia uno stimolo a portare veramente una grande innovazione nella Giustizia, si spera che le risorse promesse arrivino veramente e che sia finalmente possibile una completa ed efficace informatizzazione dei processi “a misura d’uomo”, che sia finalmente possibile completare gli organici del personale. Si spera che sia finalmente possibile porre rimedio alle problematiche che attengono alle sedi giudiziarie, attrezzando una sistemazione idonea per la Corte di Appello, il Tribunale di Sorveglianza, il Giudice di Pace e l’UNEP e rimuovendo le criticità irrisolte che affliggono pressoché tutti gli Uffici del distretto: tra tutte non si può omettere di ricordare la questione del Tribunale di Ascoli Piceno il cui archivio è inaccessibile da quattro anni a causa della presenza di amianto che nessuno provvede a rimuovere. Tutte queste speranze saranno vane, ed inutile sarà qualsiasi tipo di attribuzione di risorse, se mancheranno gli uomini e le donne di buona volontà, se mancherà l’aspirazione a cessare sterili polemiche di posizione e se non si riuscirà a capire che tutti siamo sotto questo tetto con il solo scopo di assicurare l’effettiva tutela dei diritti di tutta la collettività. L’Avvocatura è pronta allo scatto in avanti, è già sulla linea di partenza. E spera di non essere sola.