Con toni corretti ma anche con fermezza: così i presidenti dei Coa rispondono al presidente della Corte d’appello di Palermo Matteo Frasca, che sabato scorso, nel proprio intervento all’inaugurazione dell’anno giudiziario, aveva richiamato l’elevato numero di cittadini beneficiati dal patrocinio a spese dello Stato come «sintomatico di una tendenziale deriva incontrollata dell’istituto verso una anomala forma di sostegno del reddito di una parte del Foro, snaturandone la sua effettiva e nobile funzione». Un’accusa incomprensibile, a cui replicano appunto i vertici degli Ordini dell’intero distretto palermitano: «Il patrocinio a spese dello Stato, lungi dal rappresentare una “anomala forma di sostegno al reddito di una parte del Foro”, è un istituto di avanzata cultura giuridica», ricordano, «disciplinato da legge dello Stato, il cui costo grava in buona parte sull’avvocatura». Sono parole firmate in calce a un documento unitario dai presidenti dei Coa Antonio Gabriele Armetta, Vincenza Gaziano, Giuseppe Spada, Giuseppe Livio, Pietro Siragusa e Vito Galluffo. La loro nota restituisce un dato di realtà che fa a pezzi le inspiegabili insinuazioni del presidente Frasca: «L’avvocatura», fanno notare i presidenti del distretto, «subisce, per disposizione di legge, il pagamento di compensi inferiori alla metà» rispetto ai riferimenti di partenza indicati dal decreto ministeriale 55 del 2014, vale a dire la disciplina dei parametri forensi. E così, ricordano i vertici dell’avvocatura palermitana, la classe forense «presta in favore dei non abbienti la propria professionalità» nonostante «onorari mortificanti rispetto a quanto previsto dalla normativa in tema di equo compenso» e per giunta «in tempi inaccettabili, come da sempre denunciato». Il documento rammenta l’alto dato di fatto: «Non è il difensore, ma la parte, ad essere ammessa al patrocinio a spese dello Stato». I presidenti dei Coa chiudono con un gelido pro memoria, che in teoria non sarebbe necessario ma che evidentemente va riproposto: «Andrebbe ricordato come si tenti, da anni, di addossare ai difensori oneri di controllo addirittura sulla regolarità delle dichiarazioni reddituali degli assistiti, compiti che», però, «sono rimessi alla polizia tributaria, non agli avvocati».