«Abbiamo sventato l’operazione Casellati, ora lavoriamo per una soluzione condivisa che preservi il quadro di unità nazionale e consenta a chiunque ci sia a palazzo Chigi di governare con la stessa maggioranza». A sera, al termine di una giornata al cardiopalma, Enrico Letta prova a vedere il bicchiere mezzo pieno: «non ci sarà un presidente di destra e questa è una nostra vittoria. Venerdì voteremo un presidente non di parte», esulta. Il quadro, però, è complesso. «È tutto completamente per aria e non per colpa nostra», ammette confermando la volontà di lasciare scheda bianca anche domani, senza novità di rilievo. La notte, infatti, è ancora tutta da "giocare" e al Nazareno provano a mantenere i «nervi saldi». In corsa, in un testa a testa che non sa se accelerare o prendersi ancora 24 ore per arrivare al traguardo, restano i nomi di Pier Ferdinando Casini (in salita) e Mario Draghi. Per i Dem è almeno un buon punto di partenza. Enrico Letta, giocando di sponda con Matteo Renzi e in contatto praticamente costante con Matteo Salvini, stoppa il muro contro muro che avrebbe potuto giocarsi domani sulla candidatura della presidente del Senato. Il segretario Pd ha allestito il suo quartier generale al terzo piano del palazzo dei gruppi di Montecitorio e trascorre il pomeriggio al telefono, passeggiando su e giù in una stanza diventata la ’war room’ di queste ore di trattative. La tv sempre accesa su maratone e all news e una stampa del Colosseo attaccata al muro. I contatti sono continui e costanti con tutti. L’incontro con il leader di Iv serve a «concordare i prossimi passi» e ribadire il proprio no a «una candidatura che spacchi la maggioranza». «Proporre la candidatura della seconda carica dello Stato, insieme all’opposizione, contro i propri alleati di governo sarebbe un’operazione mai vista nella storia del #Quirinale. Assurda e incomprensibile. Rappresenterebbe, in sintesi, il modo più diretto per far saltare tutto», chiarisce su Twitter il leader dem. Renzi è sulla stessa linea ed è al lavoro per «evitare nomi che mettano a rischio la coalizione che sostiene il governo». Anche Giuseppe Conte concorda: «Casellati non è un candidato qualsiasi, è una carica istituzionale. Mettere in gioco una carica istituzionale in un quadro di contrapposizione senza una soluzione condivisa sarebbe un grande errore per il centrodestra. Innanzitutto, un grande sgarbo istituzionale nei confronti della carica istituzionale della presidenza del Senato», dice chiaro. Adesso, però, mentre la trattativa entra nel vivo, gli alleati provano a restare compatti. Sia tra di loro, che al loro interno. E se Letta viene descritto come «irritato» dal nuovo rinvigorisi delle correnti interne, Conte si troverà alla prova della tenuta delle truppe, sia che il nome alla fine sarà quello di Draghi o quello di Casini. Non solo. Tra le 125 preferenze che i grandi elettori hanno attribuito oggi a Sergio Mattarella tante provengono proprio da Pd e M5S . La speranza che l’attuale inquilino del Colle alla fine conceda un bis e tolga le castagne dal fuoco ai partiti non è ancora stata messa nel cassetto. E nel cassetto ci sono anche le carte Giuliano Amato e Paola Severino.