Pietro Cavallotti si è trovato con un cumulo di polvere fra le mani. Le macerie delle aziende di famiglia incenerite da anni di amministrazione giudiziaria e sequestri, misure “di prevenzione” tenute in vita nonostante fossero cadute, in sede penale, le accuse di mafia da cui le misure avevano tratto origine. Cavallotti, giovane esponente di una famiglia di imprenditori un tempo leader, in Sicilia, nel campo delle infrastrutture del gas, si è laureato in Legge per necessità. È diventato un vero scienziato del diritto nella materia costata a suo padre e ai suoi zii anni di ingiustizie: perdita delle aziende, perdita persino dei beni più personali, incluse le abitazioni in cui i Cavallotti vivevano. In capo a una pena così mostruosa, inumana e incostituzionale, inflitta in nome del dogmatismo anti-mafioso, ieri Pietro è riuscito a piantare una bandiera straordinaria: ha portato l’intera prima linea di Forza Italia al Senato - dalla capogruppo Annamaria Bernini all’ex magistrato Giacomo Caliendo - in conferenza stampa a presentare una legge che riforma proprio le misure di prevenzione del codice antimafia. L’obiettivo è precisato dalla senatrice azzurra che ha avuto il coraggio di intestarsi la proposta come prima firmataria, Gabriella Giammanco: «Non è possibile continuare a tenere slegato il procedimento di prevenzione da quello penale: se un imprenditore viene assolto, è inaccettabile che poi si trovi costretto a raccogliere le macerie della sua azienda distrutta dopo anni e anni di sequestro. Ecco perché il nostro testo prevede che l’amministratore giudiziario debba affiancare e non sostituire l’imprenditore. Serve poi», aggiunge Giammanco, «una forma di risarcimento del danno per quegli imprenditori innocenti che si sono visti distruggere le proprie imprese. Infine, occorre rafforzare la responsabilità civile degli amministratori giudiziari». Il testo in due soli articoli (ma molti, chirurgici, commi), “espone” i professionisti incaricati dai Tribunali, e che a volte si auto-attribuiscono compensi da nababbi, per tutti i danni ingiusti che fossero “cagionati con colpa o dolo”. Giammanco è vicepresidente dei senatori di Forza Italia. La legge reca altre firme di suoi colleghi come il ricordato Caliendo (ieri ha detto «io da giudice non ho mai applicato una sola misura di prevenzione, non capivo come il codice potesse prevedere una pena per gli innocenti»), Stefania Craxi e Fiammetta Modena. Tecnicamente riforma il codice delle leggi antimafia, cioè il decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. La senatrice prima firmataria cita anche l’intervista al procuratore nazionale Antimafia pubblicata ieri dal Dubbio: il Capo della Dna «ha ammesso l’esistenza di zone grigie, ma ha sostenuto che la nostra legge andrebbe a indebolire il sistema: gli rispondo che, da palermitana, conosco bene le gravi conseguenze prodotte dalla mafia sul nostro territorio. Difficile contestarglielo. E anzi, una prima firma del giornalismo italiano come Alessandro Barbano associa alla determinazione degli azzurri la propria passione civile, e ribadisce il concetto: «Bisogna convincere il paese a dismettere tutto l’armamentario dell’eccezionalismo giudiziario, un cancro della nostra democrazia. La pena inflitta a un innocente è un’ingiustizia, ma per chi è stato già assolto è un assurdo, perché», fa notare Barbano, «è un’ingiustizia ordinata non per errore ma per legge. Ecco cosa sono le misure di prevenzione: il diritto dei cattivi. Lo stesso usato dopo il 1861 per disfarsi del brigantaggio, e poi dal fascismo per colpire i dissidenti. Non è contemplato dalla Costituzione, eppure il doppio binario è stato perpetuato da una legislazione emergenziale che nell’ultimo decennio ha toccato l’apogeo del giustizialismo». Poi in Sala Nassiriya c’è Pietro Cavallotti. Che non si sottrae ai propri meriti e parla con realismo misto ad amarezza: «Se siamo qui oggi è per la fatica impiegata da noi, da chi come me e Massimo Niceta ha perso tutto. Da una parte ne sono orgoglioso, ma dall’altra ne ricavo frustrazione, perché la politica avrebbe dovuto arrivarci da sola, capire quali ingiustizie si consumavano dietro le misure di prevenzione e intervenire». Dopodiché la fiammella accesa nel cuore dell’imprenditore palermitano «non è tanto nelle chances che questa legge ha di essere approvata nel residuo scorcio di legislatura ma», dice Cavallotti, «nella forza dell’empatia. Gabriella (Giammanco, nda) mi ha confessato che se non mi avesse visto a “Quarta repubblica” mai si sarebbe interessata della materia. I rapporti umani sono essenziali. Gabriella mi ha detto di insistere: non so come farò. Devo lavorare, ma se non insisto il mio lavoro è finito» . Se c’è uno Stato che ritiene di essere giusto, dovrebbe farsi carico lui, dell’impegno di Cavallotti, subito. Ha capito, ministra Marta Cartabia?