Non lo ha ancora ammesso ma tutto lascia pensare che Silvio Berlusconi si stia rassegnando. La presa d'atto ufficiale potrebbe arrivare oggi stesso o nei prossimi giorni, comunque prima dell'inizio delle votazioni, lunedì prossimo. L'uscita di scena del candidato più ingombrante risolverà alcuni problemi, ne porrà alcuni altri. Entrambe le coalizioni dovranno trovare un nome in grado non solo di mettere tutti d'accordo al proprio interno, missione già improba, ma anche di convincere la controparte, passaggio anche più stretto. Nomi del genere, candidature capaci di compattare le coalizioni e di calamitare anche gli avversari, o almeno molti di loro, per ora non se ne vedono. Certo, sia gli uni che gli altri, raggranellando voti nella legione folta delle anime perse e dei parlamentari in libertà, conquistando l'appoggio della composita galassia centrista, potrebbe riuscire a piazzare un proprio presidente. Il prezzo sarebbe però una deflagrazione devastante. Il governo non reggerebbe. Le prossime elezioni sarebbero al buio assoluto. La stabilità diventerebbe una chimera. Mario Draghi, che piaccia o non piaccia, svolge oggi un essenziale ruolo di garante del Paese, uscirebbe di scena. Salvo poi forse rientrare in campo dopo le elezioni, ma senza alcuna certezza in materia e solo dopo una fase di prolungato terremoto che metterebbe comunque l'Italia al tappeto. Dunque serve un presidente condiviso almeno da tutta la maggioranza e quel presidente non c'è. La destra chiacchiera di piani B ed è probabile che ciascun leader abbia in mente davvero il suo privato identikit del presidente perfetto. Nessuno di questi personali piani b coincide però con quelli degli alleati. La sinistra abbonda, anzi sovrabbonda in retorica. All'atto pratico però, quando si tratta di tradurre gli altisonanti princìpi in candidature concrete, non va oltre il rifugio sicuro del Mattarella bis. Dal vertice di ieri è uscito un tweet identico messo in rete dai tre leader, Letta, Conte e Speranza. Nulla di più. Nemmeno l'intesa su un candidato di bandiera comune.È questa la regia che spinge verso il Colle Mario Draghi: la forza delle cose, non la perizia dei politici o una qualche strategia lucida. Draghi è al momento l'unico nome in grado di ottenere, sia pure con molti mal di pancia, un consenso generalizzato. Il rischio di crisi e fine anticipata di legislatura nel caso di una sua elezione ci sarebbe e chi lo nega mente sapendo di mentire. Ma senza un accordo dell'intera maggioranza non si tratterebbe più di rischio ma di certezza. La maggioranza non reggerebbe. Le elezioni sarebbero inevitabili, per la gioia di Giorgia Meloni ma di nessun altro oltre lei. Si tratterebbe comunque di trovare un sostituto in grado di reggere il governo al posto di Draghi. L'impresa non è semplice ma neppure impossibile, anche se probabilmente i tempi della legislatura si accorcerebbero comunque e le elezioni potrebbero comunque arrivare nel 2022, ma nella seconda e non nella prima metà dell'anno. Non è mai successo, è vero, ma è anche vero che c'è una prima volta per tutto.Gli ostacoli principali sono due: la Lega e i 5S. Salvini preferirebbe davvero il disegno che vagheggia di fronte ai cronisti ogni giorno. Un presidente espresso dalla destra e Draghi a palazzo Chigi come miglior garanzia di non dover sfidare le urne subito e con questa legge elettorale. Però è un miraggio perché nessuno dei nomi che sembra avere in mente ha concrete possibilità di mettere d'accordo non solo Letta, Berlusconi, Conte, Renzi e Speranza ma anche Meloni, perché senza il suo semaforo verde la maggioranza non si spaccherebbe ma la coalizione di centrodestra. Per quanto riguarda i 5S il discorso è diverso. Quel che Conte ha detto ieri agli altri due leader suoi potenziali alleati è certamente vero. Su Draghi il Movimento si spaccherebbe. Si tratterebbe dell'ennesima esplosione, però più devastante di quelle precedenti, forse anche il colpo finale. Ma nelle condizioni in cui versa oggi il Movimento, Conte non sarebbe in grado di opporsi da solo, e neppure col sostegno di Speranza all'opzione Draghi.Non significa che i giochi siano fatti. L'elezione del capo dello stato è una giostra nella quale può sempre succedere di tutto. Ma per fermare Draghi, a questo punto, sarebbe necessario un colpo di genio o una disponibilità di tutti alla conciliazione e all'intesa. Sin qui non si è vista traccia né dell'uno né dell'altra.