I commentatori se lo chiedono da giorni e settimane: «Com'è possibile che Silvio Berlusconi, avanti negli anni e indietro nei consensi, sia riuscito a imporre agli scettici alleati la sua candidatura, mettendo così a massimo rischio la possibilità per la destra di indicare per la prima volta il capo dello Stato?». La risposta è arrivata nell'ultima settimana prima dell'ora X. Il segreto è che Berlusconi ha reso alla destra un prezioso servizio. La sua candidatura è scomoda e crea parecchi problemi ma ne risolve anche di più. Permette di mascherare le divisioni nel centrodestra senza che il prodotto di quelle frizioni si riveli disastroso come le candidature deliranti nelle amministrative di Roma e Milano. Senza Berlusconi in campo i tre partiti di destra, più ammennicoli vari, avrebbero dovuto mettersi d'accordo su un altro nome e avendo in mente strategie opposte, coltivando interessi incompatibili sarebbe stata un'impresa impossibile, salvo cavarsela, come appunto nelle amministrative, con nomi di serie b, scelti con il solo criterio di non pestare troppo i piedi a nessuno dei sedicenti alleati ma per ciò stesso anche inevitabilmente perdenti. Questa parte poteva farla, nell'intera destra, uno solo: appunto Berlusconi. È stato il fondatore della moderna destra italiana, la ha mantenuta al centro della vita politica italiana da oltre vent'anni, il suo nome è stato per una fase persino più lunga una bandiera e uno spartiacque. Gli stessi ingredienti che lo rendono inaccettabile per l'ala sinistra del Parlamento ne facevano l'unico nome in grado di unificare la destra. Il discorso però è reversibile. Il solo candidato unitario della destra è indigeribile non solo per Pd, M5S e LeU ma anche per i centristi. Le sue chances, poche ma non inesistenti, sono tutte affidate alla marea di singoli parlamentari che rispondono solo a se stessi che ha inondato il Parlamento, non solo nei gruppi misti ma anche in quelli di partito. Politicamente è la carta perdente per eccellenza. Dunque, quasi certamente, il problema che la destra ha sin qui evitato di affrontare grazie a Silvio si ripresenterà presto. Dire "Piano B" significa parlare di un altro candidato unitario con chiara targa centrodestra, sia pur non lacerante come Berlusconi. Quel candidato non c'è, dunque almeno per ora non c'è nessun piano B e non è un caso che Salvini, promettendo di mettere in campo un'altra candidatura entro lunedì se il Cavaliere si ritirerà, lo ha fatto a nome della Lega, non della coalizione di cui dovrebbe essere leader e portavoce unitario. Se non ci sono un candidato, un piano B unitario e soprattutto una strategia, comunque è perché la destra marcia in ordine sparso, ciascun leader insegue miraggi diversi. Per Giorgia Meloni c'è una sola uscita positiva e vincente dalla giungla delle prossime elezioni: l'ascesa di Draghi con incluso il rischio di elezioni subito, che per lei e solo per lei rappresentano non un incubo ma un sogno. Salvini si muove lungo una traiettoria opposta. La scala reale, per lui, sarebbe l'elezione di un presidente di secondo piano, uno di tanti nomi che circolano e anche eletto da tutti ma su sua indicazione, e la permanenza di Draghi sul Colle, a garanzia di un altro anno di legislatura: il tempo necessario per varare la legge elettorale proporzionalista che in realtà tutti tranne FdI vogliono. In questo modo, dopo le elezioni, sarebbe certo dell'incarico se la destra vincesse le elezioni con la Lega primo partito e, in caso contrario, gli sarebbe facile cercare formule di maggioranza e di governo diverse, magari confermando Draghi a palazzo Chigi. Berlusconi ha progetti chiari per quanto riguarda se stesso: vuole il Colle e, in subordine, ci terrebbe a trattare per ottenere la nomina a senatore vita. Un po' limpida la strategia politica, nella quale però u punto fisso c'è: evitare di farsi rinchiudere nelle gabbie di una destra a forte guida salviniana, e se si trattasse di invece di Meloni non cambierebbe niente, oppure di una maggioranza Ursula che lo renderebbe vassallo del Pd. Senza una linea comune, la destra corre dunque, salvo possibilissimi imprevisti, verso un pareggio, come sarebbe l'elezione di Draghi, o verso il regalare la partita agli sparpagliati centristi ripiegando su Casini.