La vicenda dell'espulsione di Alma Shalabayeva fu gestita nel rispetto delle norme di legge. Lo sostiene il ministero dell'Interno rispondendo, attraverso il sottosegretario Nicola Molteni, a una interrogazione del deputato del Pd Carmelo Miceli sulla vicenda della moglie del dissidente kazako Muktar Ablyazov, che ha portato alla condanna in primo grado, tra gli altri, di Renato Cortese e Maurizio Improta, all'epoca rispettivamente capo della Squadra mobile di Roma e dell'ufficio immigrazione. Il processo d'appello si aprirà lunedì prossimo a Perugia.

Ecco come fu espulsa Alma Shalabayeva

Alma Shalabayeva e la figlia furono prelevate dalla polizia nella loro abitazione di Casalpalocco nella notte tra il 28 e il 29 maggio 2013. Le forze dell'ordine cercavano il marito, che risultava ricercato a livello internazionale per truffa e associazione criminale, ma alla donna venne contestata l'accusa di possesso di un passaporto falso. Venne firmata poi l'espulsione e furono rimpatriate. Ripercorrendo tutti i passaggi della vicenda il Viminale osserva che «dagli atti in possesso durante l'espletamento dell'iter procedimentale finalizzato all'emanazione del decreto di espulsione», Alma Shalabayeva «non ha riferito informazioni o prodotto documenti che consentissero una diversa definizione della relativa posizione amministrativa sul territorio dello Stato, né ha, tantomeno, fatto richiesta di protezione internazionale». Per quanto riguarda poi la sussistenza del rischio di fuga «può affermarsi che lo straniero trovato in possesso di un documento di identità di cui sia accertata la falsificazione sia da ritenere "a rischio di fuga". Conseguentemente, l'esecuzione dell'espulsione adottata nei suoi confronti non può che avvenire mediante accompagnamento immediato alla frontiera».