Doveva essere la riforma del riscatto. La politica che nel trentennale di Mani pulite riafferma il primato sull’ordine giudiziario. Ma rischia di non esserci alcuna riforma. Al momento, il ddl delega sul Csm è un’entità astratta. Sospeso fra un testo base proposto nell’ormai lontana estate 2020 da Alfonso Bonafede e un ampio restyling di Marta Cartabia mai depositato a Montecitorio, in attesa di un benestare in Consiglio dei ministri rinviato ormai da settimane. In mezzo, la commissione Giustizia della Camera. Che attende le proposte della guardasigilli da mesi, visto che gli emendamenti parlamentari sono stati presentati addirittura a inizio giugno. Così, un deputato fin qui in prima linea nella confortante “primavera garantista” inaugurata con l’avvento di Cartabia a via Arenula, Enrico Costa, prova a dare la sveglia: «Inverò domattina (oggi per chi legge. ndr) una lettera al presidente della commissione Mario Perantoni. Gli chiederò», spiega il parlamentare e responsabile Giustizia di Azione, «di convocare subito un calendario dei lavori affinché si proceda all’esame delle modifiche emendative già depositate a giugno da noi deputati, fatto salvo un termine breve da indicare al governo affinché si pronunci sul testo. Passata la scadenza, noi deputati della commissione Giustizia dovremmo procedere in ogni caso a votare il ddl».

OTTIMISMO A VIA ARENULA

In pratica un ultimatum. Servirà? Difficile dirlo. Anche perché interpretare il lungo silenzio di Palazzo Chigi sul “restyling Cartabia” è impossibile. Da via Arenula filtra una lettura pacificatoria, senza increspature polemiche: si è ritenuto, osserva una fonte autorevole, che ci fossero «priorità non contendibili, legate alla pandemia», e che in un contesto simile non si potesse affrontare in Consiglio dei ministri la riforma del Csm. «Ma c’è anche la convinzione», si fa ancora notare dal ministero, «che lo stop sarà seguito da una rapida ripartenza, da un timing condiviso abbastanza serrato da consentire un doppio effetto: approvare la legge delega in poche settimane e lasciare tempo sufficiente affinché entro fine legislatura, siano definitivamente adottati i decreti attuativi». Anche perché, osservano sempre fonti qualificate del ministero della Giustizia, alcuni aspetti della riforma «potrebbero essere immediatamente precettivi: ad esempio la legge elettorale per i togati, che potrebbe entrare in vigore in tempo perché si abbia a luglio un Consiglio superiore eletto con nuove regole, come il presidente Mattarella ha esortato a fare. È avvenuto con le norme sull’improcedibilità contenute nel ddl penale, può avvenire di nuovo». Ed è vero. Ma i tempi sono strettissimi. Se pure la Camera e poi il Senato compissero il miracolo di consegnare, diciamo entro lo scoccare della primavera, per fine marzo, il ddl delega sul Csm, a quel punto Palazzo dei Marescialli e l’intera macchina elettorale della magistratura dovrebbero fare le capriole per predisporre il voto entro luglio. Non impossibile ma difficilissimo. E in ogni caso Costa, di nuovo, avanza innanzitutto una preoccupazione: che «si verifichi di nuovo quanto avvenuto nove anni fa con la riforma ordinamentale dell’allora guardasigilli Severino: alcune deleghe furono esercitate, altre decaddero. Vedo lo stesso rischio».

COSTA: IL NODO NON È LA LEGGE ELETTORALE

Al che viene spontaneo sottoporre al deputato e responsabile Giustizia di Azione un’ipotesi estrema: possibile che, di fronte alla fragilità di un quadro politico pronto a frantumarsi sul voto per il Colle, il premier Draghi e la guardasigilli Cartabia decidano di stralciare dalla riforma le sole norme elettorali sul Csm? Solo in questo modo le si riuscirebbe ad approvare in tempo per scegliere i nuovi togati con regole diverse. Ebbene, Costa scavalca a sinistra l’ipotesi: «Nulla si può escludere, è chiaro che lo stralcio di una riforma per la sola elezione dei togati è possibile, ma non credo proprio sarebbe risolutivo». E perché? «Su un sistema di voto, le correnti possono sempre riuscire a mettere le mani. Ci vorrebbe il sorteggio, ma persino in un caso del genere, peraltro remoto, le correnti potrebbero avvicinare i magistrati selezionati come candidabili e proporre loro l’appoggio. È un’altra, la soluzione: sottrarre alle correnti il vero potere, vale a dire il controllo arbitrario sulle nomine». Come? «Con tre passi: primo, rendere più severe, credibili ed efficaci le norme sulle valutazioni di professionalità di tutti i magistrati. Secondo, fare altrettanto con il sistema disciplinare dell’organo di autogoverno. Terzo, e cosa più importante, collegare i criteri per la nomina dei capi alle stesse valutazioni di professionalità, e quindi alle performance reali del giudice, anche in riferimento agli esiti processuali. Oggi invece», ricorda Costa, «siamo di fronte a valutazioni altamente positive, e dunque livellatissime verso l’alto, per l’intera magistratura. Col risultato che, a parità di eccellenze, solo l’appartenenza alla corrente giusta, la capacità di relazione, può portare ad aggiudicarsi la guida di una Procura o la presidenza di un Tribunale. Più rendi credibili le norme sul merito, più le affidi alla sola legislazione primaria, più sottrai potere alle correnti». Obiettivo ambizioso: una vera riforma, in effetti, dovrebbe rispondere allo schema prospettato da Costa. Ma forse è troppo. Perché a quanto pare l’idea del responsabile Giustizia di Azione non susciterà una hola, nell’ufficio di presidenza della commissione Giustizia. Oggi la “direzione strategica” dell’organismo parlamentare presieduto dal 5S Perantoni si riunirà, e valuterà anche la lettera di Costa. Ma è difficile che passi la sfida al governo. Non sembra disposto ad assecondarla lo stesso Movimento 5 Stelle. Resta, però, quanto riferito sul Dubbio di venerdì scorso dal capogruppo grillino in commissione, Eugenio Saitta, che è anche uno dei due relatori della riforma sul Csm: «Saremmo ben lieti di esaminare gli emendamenti della ministra Cartabia anche nel caso in cui fossero presentati qui in commissione senza il passaggio a Palazzo Chigi». Idea condivisa da tutti i deputati del Movimento, a quanto si apprende, e che lo stesso Perantoni non considera azzardata. Anche perché, si fa notare, il passaggio del “restyling Cartabia” in Consiglio dei ministri non è proprio coerente con l’impegno assunto dalla guardasigilli con i partiti un mese fa: «Il mio sarà un testo aperto». Se quel testo venisse “bollinato” dal Consiglio dei ministri, come farebbe, la commissione Giustizia della Camera, a modificarlo? Tutto fila. Il punto è che il governo, per ora, non batte un colpo. E che l’idea di una riforma capace di raddrizzare le storture correntizie, del genere prospettato da Costa per intenderci, si allontana. Come si allontana il riscatto della politica atteso da qualche decennio.