Caro David, ora che - ahimè non ci sei più, e quindi con un ritardo imperdonabile, voglio chiederti scusa dell’amaro rifiuto che più di 30 anni fa da direttore del Giorno opposi alla tua aspirazione a essere promosso da redattore ordinario a inviato, forte peraltro di un’offerta da te ricevuta di assunzione alla Rai. Per quanto tu con lealtà fossi un po’ all’opposizione interna, chiamiamola così, con altri colleghi che non condividevano la mia linea politica di sostegno al pentapartito del famoso Caf, acronimo dell’alleanza fra Craxi, Andreotti e Forlani, il mio rifiuto fu motivato da ragioni di anzianità, essendo tu appena diventato giornalista professionista ed essendovi altri colleghi, ugualmente validi, che aspiravano da più tardi a quella nomina. Pur consolato dal fatto di vederti affermare nella carriera - e che carriera- alla Rai, dove tu fosti poi realmente assunto, ti assicuro che a ogni tuo passo in avanti, sino al tuo salto nella politica, dove replicasti l’abitudine al meritato successo, non mi sono mai pentito abbastanza di quel rifiuto. E non ho mai avuto il coraggio di dirtelo negli incontri occasionali e sempre cordiali avuti nei corridoi di Montecitorio. Ti dirò che a ogni tuo successo, figurati alla tua elezione a presidente del Parlamento Europeo, si riapriva dentro di me la ferita di quel pomeriggio in cui dissi quel maledetto no alla tua promozione fattami chiedere dal comitato di redazione. Ho pensato solo di disobbligarmi un po’ di quel torto votandoti al Parlamento Europeo quando vi fosti candidato, pur non essendo io un elettore abituale o convinto del Pd per la sciagurata decisione presa dal nostro comune amico Walter Veltroni di confermare l’alleanza elettorale, a suo tempo, con Antonio Di Pietro e rifiutare contemporaneamente quella con i Radicali. Fu una cosa della quale ancora oggi, a tanti anni di distanza, non riesco a capire bene le ragione. Ora che - ripeto - te ne sai andato, così presto, così improvvisamente e così dolorosamente quando ancora la politica avrebbe potuto riservarti altre soddisfazioni, pur nella rinuncia da te annunciata di recente a tentare la conferma alla presidenza del Parlamento Europeo, nella realistica valutazione delle condizioni politiche in cui andava maturando ormai la successione, non mi resta che l’orgoglio di averti avuto sia pure per poco fra i miei colleghi di redazione e il rimpianto di non averti saputo trattenere: un rimpianto per niente mitigato, come invece ho per un po’ pensato, dalle capacità professionali, umane e civili che hai sempre più potuto dimostrare. Un addio a te, anzi un arrivederci nella nostra comune fede cristiana, e un abbraccio, carissimo David, ai tuoi familiari che non ho avuto la possibilità di conoscere.