A dicembre Paitoni è stato autorizzato a tenere con sé il figlio per alcuni giorni durante le festività natalizie, nonostante i rapporti ormai logori con la moglie - ma non ancora cessati legalmente con la separazione - e gli atti di persecuzione nei confronti della stessa, già denunciati. Paitoni il giorno della tragedia si trovava nella casa del padre, dove era stato autorizzato a trascorrere gli arresti domiciliari, dopo i guai giudiziari di fine novembre, e a vedere il figlio a seguito di richiesta, accolta, avanzata dalla difesa dell’indagato. Per chiarire ulteriormente il contesto in cui è maturata la tragedia di Morazzone occorre, però, fare alcuni passi indietro.

Il 26 novembre scorso, durante una lite degenerata in colluttazione, Paitoni avrebbe estratto un coltello e colpito un collega. Venne arrestato in flagranza e il pm qualificò il fatto come tentato omicidio, chiedendo, unitamente alla convalida dell’arresto, l’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari sul presupposto della “ritenuta pericolosità sociale” dell’indagato. Entrano in gioco a questo punto alcuni fatti dell’inizio 2021.

A marzo e aprile dell’anno scorso, infatti, la moglie di Paitoni e il suocero lo denunciano per lesioni e minacce. Ma per la vicenda del tentato omicidio di novembre, il gip ha ravvisato solo un rischio di inquinamento probatorio, «attesa la ritenuta necessità di chiarire la dinamica della lite» e, successivamente, ha autorizzato incontri del detenuto con la moglie e il figlio. Il tentato omicidio del collega di lavoro e le lesioni e minacce denunciate dalla moglie e dal suocero sono due vicende diverse, seppur rappresentino uno snodo cruciale che avrebbe potuto impedire la morte del piccolo Daniele.

Qui avviene il corto circuito. Sulla lite degenerata in colluttazione e dopo l’arresto in flagranza di Paitoni, come evidenziato in una nota della procuratrice di Varese, Daniela Borgonova, il pm ha qualificato il fatto come tentato omicidio e ha chiesto, unitamente alla convalida dell’arresto, l’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari sul «presupposto della ritenuta pericolosità sociale dell’indagato, anche per precedenti denunce». Versione che stride con quella del Tribunale.

L’avvocato Stefano Bruno, difensore di Davide Paitoni, non ha esitazioni nel definire corretta la decisione della gip Giorgetti, essendosi trattato, come riferito all’Adnkronos, di «una vicenda completamente avulsa dai rapporti madre- figlio- marito e assolutamente controversa, perché è da chiarire se Paitoni abbia aggredito o si sia difeso» da un collega. «Hanno parlato – ha aggiunto il legale - di codice rosso, ma non abbiamo né un avviso di garanzia, né una misura cautelare, né un avviso di chiusa indagine per reati rientrati nell’alveo del codice rosso». Ieri Paitoni, durante l’interrogatorio di garanzia, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Gli è stata contestata anche la premeditazione e l’aver agito per motivi abietti.

Nelle ultime ventiquattr’ore, come prevedibile, le polemiche sono montate a dismisura. Con i “se” e con i “ma”, dopo tragedie come quella di Morazzone, è sempre facile commentare, lavarsi la coscienza e trovare subito dei responsabili. Ecco che in questo contesto tecnici e opinione pubblica si spaccano. Parlare di disattenzione da parte del gip – che non poteva aggravare la richiesta del pm - è improprio, come sostiene il presidente del Tribunale di Varese, Cesare Tacconi, il quale ha evidenziato come la richiesta dei domiciliari per Paitoni avesse un fine ben preciso, evitare l’inquinamento delle prove, senza che la pericolosità sociale venisse tirata in ballo.

Di altro avviso Fabio Roia, presidente vicario del Tribunale di Milano e consulente della Commissione parlamentare sui femminicidi, che, in una intervista rilasciata ieri a Repubblica, ha ravvisato «una sottovalutazione complessiva della violenza» dell’assassino di Morazzone. Il magistrato auspica interventi normativi per sospendere in determinati casi la potestà genitoriale.

Alcuni avvocati di Varese definiscono la gip «non brava, di più» e non nascondono la tristezza per le feroci polemiche che la stanno riguardando, essendosi sempre contraddistinta per «equilibro e preparazione».

Varese, il presidente dei penalisti difende l'avvocato Bruno

Fabio Margarini, presidente della Camera penale di Varese, non ha fatto mancare la sua vicinanza all’avvocato Stefano Bruno, preso di mira con minacce e insulti. «Ho sentito il collega Bruno - dice al Dubbio l’avvocato Margarini -, che è anche vicepresidente della nostra Camera penale. Ad oggi si tratterebbe esclusivamente di sfoghi di rabbia per la giovanissima vittima di questo immane e inumano delitto, e solo larvatamente viene coinvolto e minacciato il difensore dell’omicida. L’auspicio per il collega Bruno è quello di non dover assistere ad una nuova deriva subculturale, e a una pericolosa gogna pubblica che tendesse a confondere l’autore del delitto con il suo difensore, dimenticando che quest’ultimo sta tutelando il diritto costituzionalmente radicato in ogni cittadino quale che sia l’efferatezza del crimine compiuto».

La ministra della Giustizia, Marta Cartabia, ha chiesto urgenti accertamenti al suo ispettorato. Da via Arenula verranno chiesti agli uffici del Tribunale e della Procura di Varese tutti gli atti di loro competenza per chiarire il quadro della vicenda e valutare il da farsi. Nel frattempo nubi sempre più cupe si addensano sugli uffici giudiziari di Varese, mentre Morazzone e Gazzada Schianno piangono Daniele.