di Elisabetta Burla*

Sono trascorsi due anni dall'inizio della proclamata pandemia e, ancora, non sono stati adottati provvedimenti decisivi ed effettivamente tutelanti per la salute delle persone, delle persone detenute, in particolare. Attualmente, all'interno della Casa Circondariale di Trieste vi sono alcuni casi di positività, la maggior parte delle persone positive sono vaccinate ma il virus non fa eccezioni. Del resto il carcere, anche quello di Trieste, non può garantire spazi adeguati, non può - per certo garantire la misura del distanziamento sociale e, i numeri delle persone detenute sono nuovamente saliti: su una capienza regolamentare di 139 persone ne sono ristrette più di 200.

E nel carcere, come in qualsiasi altro contesto, l'infezione non fa distinzioni di sorta, non colpisce solo i detenuti, non colpisce solo i non vaccinati; il contagio dilaga, e si diffonde. Nel carcere e dal carcere entrano ed escono un numero importante di persone, pensiamo alla polizia penitenziaria, pensiamo al personale civile e amministrativo, pensiamo ai fornitori, agli avvocati. Un numero considerevole di persone che vivono nella comunità locale.

A distanza di due anni siamo di nuovo a disporre quale unico strumento, le chiusure degli Istituti alla società esterna: niente scuola, nessuna attività formativa, nessun corso o percorso organizzato dal volontariato; accessi alla biblioteca, alla palestra o "all'aria" preclusa a tutti coloro che si trovano in quarantena. Progetti di rieducazione e reinserimento interrotti. Ripercussioni sul piano psico-fisico particolarmente incisive; con tutte le conseguenze che ne discendono. Con il sistema sanitario che arranca.

In questo contesto altri sarebbero stati e dovrebbero essere gli strumenti da adottare: quelli pensati a ridurre i numeri dei detenuti attraverso scelte strutturate, non emergenziali, sull'esecuzione della pena con interventi seri che incidano positivamente sulle politiche sociali di accoglienza e inclusione sociale, un avvio altrettanto strutturato ai percorsi di lavoro per garantire una concreta autonomia della persona, il ricorso più incisivo alle misure alternative alla detenzione.

Nell'immediato, viste le condizioni attuali della detenzione, sarebbe urgente approvare delle norme - queste sì emergenziali – volte al contenimento delle presenze in carcere anche attraverso il riconoscimento della liberazione anticipata speciale. (*Il Garante comunale dei diritti dei detenuti di Trieste)