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Il processo digitale è stato affinato durante l'emergenza ma non può diventare la normalità
L’uso sempre più massiccio delle tecnologie induce a pensare che stiamo vivendo una nuova rivoluzione nell’attività professionale degli avvocati. Alcuni passi sono stati fatti e si stanno facendo. Altri ne occorre fare, ma pensare che la toga verrà indossata solo in studio, davanti ad un computer, senza recarsi più in Tribunale potrebbe essere illusorio, oltre che fuorviante. Come è stato rilevato da più parti – avvocati e magistrati -, il processo telematico sembra essersi bloccato dopo l’avvio di una stagione iniziata sotto i migliori auspici. Si è partiti sostituendo il deposito cartaceo con il deposito telematico. Non sono state invece sfruttate le potenzialità dell’atto informatico. L’importanza dei metadati, data base che potrebbero costituire un inesauribile patrimonio di giurisprudenza. È stata invece migliorata la qualità del lavoro, eliminando le code davanti alle Cancellerie, senza avere più l’assillo di correre in Tribunale per adempimenti materiali, non essere sopraffatti da una marea di documenti cartacei.La pandemia ha accelerato alcuni cambiamenti radicali. Le udienze a trattazione scritta sono diventate, nel processo civile, quasi una realtà. Ma questa situazione ha i suoi pro e contro. Tra gli aspetti positivi di sicuro vi è una ottimizzazione dei tempi ed è stato evitato un blocco dei procedimenti (anche se i casi di rinvii di udienza lunghissimi sono stati frequenti). Si evita di andare in andare in Tribunale, si evitano assembramenti e rischi di contagio, dato che il virus continua a circolare, ma al tempo stesso il principio dell’oralità è inevitabilmente compresso (e compromesso). Il contraddittorio telematico si realizza con uno scambio di memorie digitali.La controparte ne prende conoscenza, senza discussione in funzione della successiva decisione del giudice. Una situazione del genere manda in crisi il principio contenuto nell’articolo 180 del Codice di procedura civile (“Forma di trattazione”), secondo il quale «la trattazione della causa è orale», ma anche il principio del giusto processo e, infine, quello del contraddittorio.Chissà cosa direbbero osservando questa realtà processualcivilisti come Chiovenda e Carnelutti.I cambiamenti però non si possono arrestare. Ecco che in questo contesto, con l’avverarsi della quarta rivoluzione industriale, come riferito qualche giorno fa dall’ex presidente del Cnf, Guido Alpa, «tra l’impronta liberista statunitense e quella accentratrice e statocentrica cinese, la scelta europea si segnala per la via mediana dell’intervento regolatorio». La libertà economica e la tutela dei diritti fondamentali, che passano attraverso una serie di interventi diretti a controllare la digitalizzazione, devono muoversi alla stessa velocità. A questo riguardo entrano con una certa dirompenza nella vita degli operatori del diritto i temi dell’intelligenza artificiale e della giustizia predittiva da non intendere come sinonimi. La giustizia predittiva è una delle numerose applicazioni dell’intelligenza artificiale (un’ampia disamina su questo tema viene fatta dall’avvocato Luigi Viola). «Il diritto – dice Viola - va verso il nuovo. Per questo è importante prestare molta attenzione ai modelli di giustizia predittiva che si stanno diffondendo: deve essere sempre salvaguardata la possibilità di difesa dell’avvocato sul singolo caso. Se si afferma che due più tre è uguale a cinque, deve comunque essere data la possibilità all’avvocato di dimostrare che una variabile inserita non è corretta, come ad esempio 2 o 3, così da poter determinare un risultato diverso che non sarà più 5. È importante che non si ambisca ad una giustizia “robot” dove si preme un tasto e viene prodotto il provvedimento, ma ad una giustizia giurimetrica ed antropocentrica dove è sempre possibile verificare il singolo passaggio della decisione viziato, così da poterlo rilevare e far modificare, per il tramite dell’impugnazione. La difesa deve restare “diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento” in base a quanto indicato dall’articolo 24 della Costituzione». Sull'intelligenza artificiale applicata all'organizzazione, come ha rilevato la consigliera del Cnf Carla Secchieri nel plenum dell’avvocatura, svoltosi a Reggio Calabria poche settimane fa, è utile avere un approccio molto aperto. «Chat-bot – ha evidenziato - che sostituiscono inutili attese al telefono con le Cancellerie, razionalizzazione delle assegnazioni delle cause ai giudici, utilizzo dei dati presenti nei registri di cancelleria per analisi non più solo quantitative ma anche qualitative, che consentano di intervenire laddove il sistema è più debole, sono sicuramente strumenti per una maggiore efficienza. Come sempre, la verità sta nel mezzo: occorre prendere coscienza degli indubbi vantaggi che la tecnologia può portare alla nostra professione, senza pregiudizi o rifiuti aprioristici, ma con consapevolezza, e quindi con una adeguata formazione, ma anche con la coscienza che, se pure cambierà o potrà cambiare il modo di svolgere la professione, non per questo la nostra funzione di difensori dei diritti dei cittadini potrà venire meno». La digitalizzazione, dunque, è una componente essenziale della vita gli avvocati e non va vista come una minaccia. Anzi, è una opportunità da cogliere al volo, senza, però, volare sulle ali di facili entusiasmi. Non basta un click per assicurarci un giusto processo, per ridurre i tempi della giustizia e, più in generale, per cancellare i tanti problemi che si affrontano stando ore ed ore in Tribunale. Questi ultimi continueranno ad esistere, a meno che qualche nuovo teorico della giustizia senza esseri umani voglia ridurli a luoghi metafisici. Come in un quadro di Giorgio De Chirico.