Quasi tre anni dopo la cena all’Hotel Champagne che cambiò le sorti della magistratura italiana, il Csm chiude la pratica relativa alla procura di Roma, nominando Francesco Lo Voi nuovo numero uno di Piazzale Clodio. Un nome in continuità con l’epoca Pignatone - di cui il procuratore di Palermo è grande amico -, scelto ieri dopo oltre tre ore di discussione in plenum, con 19 voti contro i due andati a Marcello Viola, tra le poche vittime di quella cena, pur essendone totalmente estraneo. Un concetto sottolineato ieri dal pm antimafia Nino Di Matteo, che ha espresso per il pg di Firenze la sua preferenza, assieme al collega Sebastiano Ardita, relatore della pratica in plenum. A far vincere Lo Voi - scelto dai togati della sinistra di Area, i moderati di Magistratura Indipendente, i centristi di Unicost, gli esponenti di Autonomia&Indipendenza e il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, oltre ai tre laici del M5s e ai tre in quota Forza Italia - sono state soprattutto le dimensioni della procura di Palermo, la più impegnativa, in termini di lotta alle mafie, e paragonabile, per grandezza, a quella di Roma. Troppo piccola, invece, quella di Trapani, dove Viola ha svolto in passato funzioni direttive. Insomma, un nuovo criterio pescato nel mare della discrezionalità del Csm, dopo quello che aveva portato Michele Prestipino a guidare la procura dopo Giuseppe Pignatone: in quel caso era stato il radicamento territoriale il principio guida, bocciato poi dalla giustizia amministrativa. Che aveva evidenziato come i due candidati avversari - Lo Voi e Viola, appunto - avessero un curriculum nettamente superiore a quello del collega. Viola, in particolare, essendo procuratore generale ha anche il potere di vigilanza sull’ufficio di procura, nonché il potere di avocare a sé le indagini. Ma ciò non basta secondo Alessio Lanzi, relatore della pratica Lo Voi, secondo cui il pg di Firenze, pur avendo poteri di vigilanza, non ha però potere di indirizzo organizzativo «attraverso l’adozione diretta di direttive e criteri vincolanti». Inoltre, «la figura di un procuratore generale rarissimamente, col fenomeno dell’avocazione, svolge o fa svolgere indagini, mentre la procura di Palermo è continuamente “sul pezzo”, interessata da indagini di vasta rilevanza». A pesare, nel curriculum del procuratore siciliano, sono anche le esperienze come sostituto procuratore generale della Cassazione, quella al Csm e ad Eurojust. Insomma: «Sul piano attitudinale non c’è corsa», ha concluso Lanzi. Diverso il punto di vista di Ardita, secondo cui l’errore di fondo della relazione di Lanzi sta nel fatto di aver paragonato gli uffici e non i candidati: «Non c’è dubbio che Lo Voi abbia anch’egli uno splendido curriculum professionale - ha evidenziato -. Ma la comparazione va effettuata sui risultati raggiunti e periodo di svolgimento di funzioni nell’ambito di uffici direttivi». E da questo punto di vista, ha sottolineato Ardita, avrebbe dovuto spuntarla Viola, che ha otto anni in più di funzioni giudiziarie e sette anni e mezzo di funzioni direttive requirenti, quasi il doppio di Lo Voi, «con un’esperienza professionale più variegata e più ricca dal punto di vista delle funzioni svolte». E anche le funzioni giudicanti risulterebbero maggiormente connotate sotto il profilo della conoscenza dei reati di criminalità organizzata, avendo svolto il ruolo di gip distrettuale competente per reati di mafia per molto tempo. Ma nulla da fare. A pesare su Viola sembra essere soprattutto il suo coinvolgimento indiretto nell’affaire Palamara: il suo nome, infatti, era stato “prescelto” a sua insaputa come successore alla guida della procura di Roma, anche in un’ottica di discontinuità con l’era Pignatone. Discontinuità che, però, non si è mai realizzata, dato l’interregno di Prestipino - la cui pratica, ora, va di nuovo valutata - e ora la nomina di Lo Voi. Viola rimane così vittima di quell’evento. «Ritengo che il grande vero motivo per il quale non viene adeguatamente valorizzato nel giudizio comparativo il profilo eccellente del dottor Viola è legato alla vicenda dell’Hotel Champagne e delle intercettazioni di quella sera - ha sottolineato Di Matteo -. Non dobbiamo essere ipocriti: il dottor Viola in tutta questa vicenda è stato gravemente e ingiustamente penalizzato da quella vicenda e secondo me lo è in qualche modo tuttora nel giudizio comparativo che nella proposta di maggioranza lo vede soccombente. Questo è il non detto di quello che ci stiamo approntando a decidere». Ma non solo: «Nelle intercettazioni di Palamara noi dobbiamo stare attenti a non attribuire livello di attendibilità, a seconda del bersaglio, diversi - ha concluso -. Per Viola, dalle intercettazioni di Palamara, deriva un vero e proprio marchio. Quando le intercettazioni di Palamara sono invece relative all’asserita pretesa del precedente procuratore di Roma di orientare la scelta del suo successore verso candidati a lui graditi e tra questi il dottor Lo Voi, queste sembrano evaporare nel nulla. Questo al di là del giudizio che si può formulare sulla rispondenza a verità di quello che diceva Palamara». Per il togato di Area Giuseppe Cascini, «la nomina del procuratore di Roma ha segnato in negativo la storia di questo Consiglio» ed è stato «l’epicentro un terremoto che ha gravemente compromesso la credibilità della magistratura e del suo organo di governo autonomo». Una ferita che Prestipino, nei due anni alla guida della procura, «è stato capace di ricucire», ricostruendo un clima di armonia e di collaborazione «e restituendo autorevolezza all’ufficio». Proprio per tale motivo, a suo parere, il Csm «aveva il dovere di valutare, anche dopo le decisioni del giudice amministrativo, la possibilità di una scelta di continuità». Anche perché, ha sottolineato, sarebbe errato dire che la sua scelta, lo scorso anno, sia dipesa da un criterio di radicamento territoriale e non sulla base della sua «competenza».