Antimafia: snodo chiave della giustizia. In particolare per la rinnovata contesa fra garantisti e intransigenti. Lo si è capito da vari segnali, ma più di tutto lo dimostrano le divisioni sull’ergastolo ostativo. Più precisamente, sulla legge, all’esame della Camera, che dovrebbe recepire le indicazioni della Consulta (contenute nell’ordinanza 97 del 2021) e consentire la liberazione condizionale anche degli ergastolani di mafia e terrorismo che non collaborano.

GARANTISTI IN MINORANZA SULL’ERGASTOLO OSTATIVO

Sui limiti con cui perimetrare il principio affermato dalla Corte costituzionale si è infatti ridefinita la geografia della giustizia: non solo si è ricostituita l’alleanza “giallorossa” Pd-M5S, ma si assiste alla convergenza verso le posizioni pentastellate anche della Lega e di Fratelli d’Italia. Allo stato, insomma, sono pochi i partiti disponibili a recepire l’invito della Consulta in una logica non “conflittuale”, cioè a fare in modo che l’indisponibilità alla collaborazione non rappresenti più una presunzione assoluta di pericolosità per i reclusi che aspirano ai benefici, e dunque un ostacolo insormontabile per il ritorno alla libertà degli ergastolani.

I partiti in linea con la Corte sono solo Forza Italia, Italia viva, i centristi di Azione e Coraggio Italia. Gli altri sembrano guardare in modo piuttosto preoccupato all’ordinanza costituzionale dello scorso 11 maggio. Tanto da aver proposto emendamenti ancora più restrittivi del già rigidissimo testo base messo a punto da Mario Perantoni, deputato 5 Stelle e presidente della commissione Giustizia.

SE IL PARLAMENTO FRANA SUL 4 BIS, C’È LA CONSULTA

Partita chiusa? Forse sì. Ma a dirimerla, e a cambiarne un destino che sembra segnato, potrebbe essere ancora una volta la stessa Corte costituzionale che ha innescato il Parlamento. Innanzitutto per un motivo: non è così scontato che le Camere riescano ad approvare una legge “applicativa” (dell’ordinanza sull’ergastolo ostativo) entro il prossimo 10 maggio, giorno in cui il giudice delle leggi tornerà in udienza per valutare se il legislatore ha raccolto adeguatamente l’appello di 12 mesi prima.

Di fronte al fallimento dei tentativi in Parlamento, la Corte potrebbe intervenire con una sentenza demolitoria sull’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario, e risolvere in modo drastico la questione della liberazione condizionale per i mafiosi che non collaborano. Il giudice delle leggi potrebbe cioè stabilire una volta per tutte che per l’accesso a quel beneficio deve essere sempre lasciato aperto uno spiraglio, seppur con un accertamento che escluda non solo il permanere dei collegamenti con l’organizzazione criminale ma anche il rischio di un loro ripristino.

CORTE INTERPELLATA SUGLI EDITTI DEI QUESTORI PER PC E TELEFONI

Ma non si tratta solo di questo. La dialettica fra giudice delle leggi e Camere va oltre. Ha un carattere politico, di indirizzo, dunque più ampio rispetto alla querelle sulla speranza di libertà da riconoscere anche agli ergastolani di mafia. Basti considerare un aspetto meno dirompente sul quale la Corte costituzionale sarà chiamata a pronunciarsi nei prossimi mesi: il divieto amministrativo, cioè imposto dal questore, di usare strumenti tecnologici di varia natura, dal pc al cellulare e alla televisione, divieto previsto sempre dal Codice antimafia, in particolare dall’articolo 3 comma 4 del decreto legislativo 159/ 2011.

Secondo la Cassazione che, come ricordato ieri dal Sole- 24 Ore, ha rimesso appunto la norma al giudizio della Consulta ( ordinanza 46076), siamo di fronte alla violazione di un principio cardine, il diritto alla corrispondenza e alla comunicazione, intesa anche nella sua forma privata. Un diritto che, in base all’articolo 15 della Costituzione, può prevedere limiti solo sotto riserva di giurisdizione e di legge. Non può esserci cioè una preclusione nell’accesso ai mezzi comunicativi imposta per via amministrativa e non ratificata da un’autorità giudiziaria, né si possono eludere i limiti temporali previsti dalla legge per tali compressioni della libertà.

Sembra, come detto, una questione assai più “leggera”, rispetto alla liberazione condizionale degli ergastolani di mafia. Ma rappresenta pur sempre un’occasione, per la Consulta, di sconfessare il cosiddetto eccezionalismo delle misure cautelari antimafia, attraverso i presìdi invalicabili fissati dalla Costituzione. Magari la decisione arriverà più avanti, rispetto alla “udienza bis” del prossimo maggio sull’ergastolo ostativo. Ma il fatto stesso di sapere che la Cassazione ha interpellato ancora la Corte costituzionale su aspetti controversi della disciplina antimafia, ci ricorda come il vero arbitro, nel bilanciamento dei diritti, è appunto la Carta, e non il Parlamento nelle sue variegate e impulsive inclinazioni.

COLLABORAZIONI INESIGIBILI, A BREVE LA SENTENZA

Non è finita qui: è attesa per le prossime ore, e potrebbe arrivare prima di Natale, la sentenza della Consulta su un altro dettaglio delle ostatività previste nell’ordinamento penitenziario. In particolare, sulla possibilità che i reclusi di mafia la cui collaborazione è “inesigibile” (perché non ci sono più verità “rivelabili” o per la marginalità di quel recluso nelle gerarchie del clan) possano accedere al beneficio dei permessi premio senza che si debba condurre un’istruttoria per scongiurare i rischi di un ripristino dei rapporti fra quel detenuto e i vecchi sodali.

Stavolta il giudice rimettente, il Tribunale di sorveglianza di Padova, si rivolge al giudice delle leggi affinché renda più restrittiva anziché meno afflittiva l’interpretazione della norma. Ma poco importa. Conta il fatto che, con la sentenza già discussa in realtà nella camera di consiglio dello scorso 30 novembre e di cui si attende solo il deposito, la Corte costituzionale si pronuncerà di nuovo su un aspetto controverso dell’ordinamento penitenziario e del regime ostativo.

Non a caso, il testo sull’ergastolo sul quale la Camera discute in questi giorni ha di fatto eliminato, dal ventaglio delle poche possibilità lasciate al detenuto in regime di 4 bis di accedere ai benefici, proprio la collaborazione inesigibile. Quel testo base è stato messo a punto, come detto, dal presidente della commissione Giustizia di Montecitorio Mario Perantoni, deputato M5S.

Se il Parlamento sembra muoversi dunque in chiave restrittiva, la Consulta finirà in più di un caso per ribadire i princìpi costituzionali messi in discussione. E il giudice delle leggi, in questo, pesa fino a prova contraria un po’ di più rispetto a chi le leggi le scrive. È una dialettica impegnativa, a cui assisteremo ancora per molto tempo, evidentemente. E certo colpisce che gli equilibri sulla giustizia debbano essere chiariti ancora dal rapporto controverso fra giurisprudenza costituzionale e partiti.

D’altra parte si tratta dello stesso fenomeno a cui si è assistito, per esempio, a proposito del fine vita e dell’aiuto al suicidio. Peccato che anche in quel caso le raccomandazioni della Corte costituzionale non siano bastate a favorire la maturazione del quadro politico, tuttora alle prese con un complicatissimo tentativo di definire una legge in materia. Non proprio un grande auspicio anche rispetto alla possibilità che il Parlamento faccia qualche passo avanti rispetto all’eccezionalismo della legislazione antimafia.