Nel 1989 l'avvocato Domenico Carponi Schittar scriveva “ Esame e controesame nel processo accusatorio”. Un estratto è contenuto nell'appello - di cui abbiamo dato conto in questi giorni, suscitando anche la polemica dell'Anm di Roma - che Renato Borzone e Roberto Capra hanno scritto contro la condanna all'ergastolo inflitta a Lee Elder.

Avvocato Schittar, che idea si è fatto degli episodi che abbiamo raccontato?

L’interventismo del giudice può essere frutto o di un equivoco sul proprio ruolo o di ignoranza quanto ai presupposti che condizionano la struttura funzionale del controesame: primo tra tutti una preparazione coerente con un disegno finalistico – “quello che si vuole ottenere” - cui va uniformata l’impostazione del controesame; preparazione che il giudice terzo e ignorante dei fatti evidentemente non può aver fatto, quindi i suoi interventi per lo più sono impropri. Purtroppo non ci sono contromisure. Ero in Canada, negli anni 80 quando un giudice interruppe un avvocato che controesaminava dicendogli “ non mi va questo modo di esaminare”. Si fermò l’avvocato e si fermò tutta l’avvocatura canadese finché la Suprema Corte uscì con la statuizione “ solo l’avvocato è arbitro del proprio esame”. Da noi questo sarebbe inconcepibile.

Quanto può pesare sull'accertamento della verità processuale l'invadenza del giudice?

A molti giudici sfugge che il controesame è sempre produttivo positivamente per il processo. È utile se ha successo l'obiettivo di chi interroga di portare a galla una certa verità prima taciuta o mascherata. È utile se l'obiettivo fallisce in quanto viene avvalorata la verità già uscita dall’esame diretto. Conseguentemente, se il fine del processo è giungere a “una” verità, qualsiasi interferenza del giudice è sempre potenzialmente dannosa in quanto può vanificare l’uno e l’altro risultato.

Quali sono i limiti che avvocato e giudice non dovrebbero superare durante una controesame?

Quanto al giudice basti pensare che in un rigoroso sistema accusatorio gli sarebbe interdetto perfino di porre domande a chiarimenti che non siano a favore dell’imputato. Quanto all’avvocato per lo più sono limiti di opportunità ( solo ad esempio: può talora essere sconveniente creare un’atmosfera tesa); il solo limite sostanziale è la continenza ( aderenza delle domande ai fini perseguiti). Il problema è che il comprendere seil limite è stato rispettato è un posterius: lo si può stabilire solo ad esame concluso. Di qui l’inopportunità di interventi in corso d’opera.

Lei nel 1989 scriveva “Esame e controesame nel processo accusatorio”. Qual è lo stato dell'arte?

Rispondo adattando agli esami orali quanto il prof. Glauco Giostra scrisse con riferimento all’intero codice; ossia che ci troviamo in presenza di una struttura “farcita di antinomie, compromessi, pasticci, incongruenze, ambiguità” che ha prodotto “un sistema scompensato, in instabile e precario equilibrio (…) mai andato a regime. Lo ha impedito, tra altre cause, l’impreparazione (...) culturale ”.

Il presidente dell'Ucpi Caiazza ci ha detto: La terzietà è un aspetto cruciale nella formazione del giudice, ma è affidato esclusivamente alla cultura del singolo, e per questo finisce per essere più un'eccezione che la regola.

Ha sacrosanta ragione. Il concetto di terzietà può essere percepito (e attuato) pienamente soltanto da chi condivida ( e conseguentemente “viva”) che il giudice penale è in primis il garante nei confronti dell’imputato della giustizia del processo. Ecco, tornando alla prova, che chi si investa di tale ruolo difficilmente sbaglierebbe nell’intervenire inappropriatamente in un esame.