Alfonso Celotto, professore di diritto pubblico a Roma Tre, sulla proroga dello stato d’emergenza spiega che «la scelta stessa di un atto legislativo e non amministrativo è una garanzia per il Parlamento, che è stato così informato e potrà discuterne» e sull’elezione del futuro inquilino del Quirinale ammonisce: «Ogni cambio di potere porta a un cambio di equilibri ma chiunque sarà il nuovo presidente della Repubblica diventerà il primo motore immobile del governo ed eventualmente del prossimo periodo pre elettorale».

Professor Celotto, dalle colonne del Foglio il professor Sabino Cassese, riguardo alla proroga dello stato d’emergenza, ha spiegato che «un paese che non riesce ad affrontare con strumenti ordinari una situazione che si protrae da due anni ha un deficit di ideazione, di capacità di individuare strumenti ordinari, di progettazione, che dovrebbe preoccupare». È d’accordo?

Il governo ha prorogato lo stato d’emergenza con un atto legislativo, come in seguito alla tragedia del ponte di Genova. Ricordo che dall’inizio della pandemia questa è la sesta proroga: le prime cinque sono state fatte con atto amministrativo mentre questa con atto legislativo, visto che al massimo si poteva prorogare per soli due anni. Inoltre in questo caso c’era un onere di motivazione maggiore, e quindi si è scelto l’atto legislativo.

Non crede dunque che il Parlamento sia stato di fatto «esautorato» come ormai denuncia da mesi l’opposizione di Fratelli d’Italia?

La scelta stessa di un atto legislativo e non amministrativo è una garanzia per il Parlamento, che è stato così informato e potrà discuterne. Il coinvolgimento del Parlamento è molto importante, ma l’articolo 78 sui poteri speciali in caso di guerra fa capire che quando ci sono casi speciali va attivato il governo. Nella fase iniziale della pandemia c’erano i Dpcm, peraltro avallati dalla Corte costituzionale, ma ora si è deciso di proseguire con l’atto legislativo.

Pensa ci sia ancora il bisogno di mantenere lo stato d’emergenza?

Lo stato d’emergenza serve per portare avanti una serie di misure utili a contrastare la pandemia, ad esempio lo smartworking, la dad, gli esami da remoto all’università. Così come per fare acquisti e approvvigionamenti, a partire dalle mascherine, senza passare per il codice degli appalti. E serve infine per prendere misure speciali come le ultime sull’ingresso dall’estero. Insomma, penso fosse necessario.

Molti associano la proroga dello stato d’emergenza con la permanenza di Mario Draghi a palazzo Chigi, tagliandolo quindi fuori dalla corsa per il Colle. Che ne pensa?

Quella per il Quirinale è, per tradizione, un’elezione senza candidati. E la storia repubblicana insegna di una marea di candidati autorevoli che non sono andati in porto, basti pensare a Benedetto Croce ma anche ai big della prima Repubblica, come Spadolini, Fanfani, Andreotti e Moro. La corsa al Colle è un’alchimia di particolari bilanciamenti e il mese che manca è ancora lunghissimo. Ricordo che sette anni fa il nome di Mattarella venne fuori solo all’ultimo, si parlava di Marini e Prodi e sappiamo come è andata.

Lei ha di recente scritto “L’enigma della successione”. Quali saranno i problemi per la successione di Mattarella?

Ogni cambio di potere porta a un cambio di equilibri. Chiunque sarà il nuovo presidente della Repubblica diventerà il primo motore immobile del governo ed eventualmente del prossimo periodo pre elettorale. In questa fase di passaggio confermare Mattarella sarebbe un segno di stabilità, perché Draghi resterebbe palazzo Chigi e si voterebbe nel 2023. Ma l’attuale capo dello Stato in piena correttezza costituzionale ha fatto notare che la proroga non sarebbe naturale e quindi ha fatto capire di non essere disposto al bis. Poi certo da qui a un mese bisognerà capire cosa avverrà, ma di certo con un altro presidente gli equilibri cambierebbero completamente.

Crede alla possibilità di eleggere un candidato “istituzionale” come potrebbe essere Marta Cartabia o la presidente del Senato?

È molto più facile indovinare chi vincerà lo scudetto, perché in fondo è limitato a quattro squadre. Superato il binomio Mattarella- Draghi i candidati possibili sono invece un centinaio e facendoli tutti potremmo anche non indovinare chi sarà il prossimo presidente della Repubblica, magari dopo oltre venti scrutini come fu per Leone. Oggi i candidati istituzionali sono i più quotati visto il passato, basti pensare a Scalfaro, che se la giocò con Spadolini. Ma poi dobbiamo anche pensare a Merzagora, che invece non ce la fece. Abbiamo tuttavia altri soggetti della politica, come Prodi e Berlusconi, che potrebbero arrivare fino in fondo.

Pensa che l’attuale sistema parlamentare favorisca la frammentazione e quindi anche l’incognita nella futura elezione del capo dello Stato?

Il sistema parlamentare per come è pesato è nato nel ’ 46-’ 47 e ancor più nel 1848 con lo statuto Albertino. E passa attraverso la cinghia di trasmissione dei partiti, che ora sono in difficoltà. Quel sistema, ad esempio, non conosceva la televisione prima e il digitale poi. Di conseguenza diventa difficoltoso per questo sistema adeguarsi al mondo di oggi. Da qui derivano poi governi fragili e l’allontanamento delle persone dalla politica.

Tanto che c’è chi invoca il tanto vituperato presidenzialismo.

Di presidenzialismo ne parlava già Gronchi e fin dai primi anni della Repubblica si pensò che si potesse arrivare a un modello che favorisse una presenza differente del presidente, che non doveva essere neutrale ma più vicino al ruolo di quello francese o americano o anche a quello di un presidente di regione. Ma il problema è che nel sistema presidenziale, una volta eletto Trump te lo devi tenere. Tuttavia penso che le ragioni storiche che consigliarono al costituente di non arrivare a un sistema presidenziale, siano oggi superate. Tante volte si è pensato fosse la volta buona, eppure siamo ancora qua.

Si arriverà comunque all’elezione di un presidente a larga maggioranza?

È auspicabile che l’elezione avvenga nelle prime tre votazioni, con la maggioranza dei due terzi. Sarebbe un forte segnale di compattezza. Ma ricordo che alla prima elezione sono stati eletti solo due presidenti, chissà.