Aprire una pratica in Sesta Commissione per affrontare il tema delle "porte girevoli" tra politica e magistratura. A chiederlo al Comitato di presidenza del Csm sono i togati di Magistratura Indipendente, i quali, dopo le polemiche sul ricollocamento in ruolo di Catello Maresca, hanno scritto anche ai colleghi spiegando le motivazioni del loro voto a favore sulla delibera che «in applicazione della normativa vigente e della circolare del Csm», osservano i togati di MI, Antonio D’Amato, Paola Braggion, Loredana Miccichè e Maria Tiziana Balduini, ha disposto il rientro in magistratura di Maresca alla Corte d’appello di Campobasso con funzioni di consigliere. «Rimandiamo, in proposito, al parere favorevole da noi votato - spiegano ancora Balduini, D’Amato, Miccichè e Braggion - sul progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario (il cosiddetto ddl Bonafede), regolante in misura molto stringente i rapporti tra magistratura e politica, che introduceva, ad esempio, l’ineleggibilità senza deroghe nel territorio in cui si esercita la giurisdizione. Abbiamo quindi deciso di riaprire istituzionalmente il dibattito con le autorità competenti, chiedendo al Comitato di Presidenza che venga discussa e adottata presso la Sesta commissione una risoluzione sul tema dei rapporti tra politica e magistratura. Rileviamo però che, allo stato, siamo tenuti ad applicare la normativa vigente». Alla luce di ciò, i togati di Magistratura indipendente affermano di non comprendere «le posizioni di astensione» che si sono registrate sulla delibera Maresca: «Riteniamo da magistrati - concludono - di essere soggetti alla legge, anche se non sempre concordiamo con il suo contenuto e con le relative conseguenze. Questa è la responsabilità che impone il nostro ruolo, anche al Csm ci siamo assunti la responsabilità di una scelta dovuta, anche se scomoda o impopolare. Il resto ci sembra facile demagogia». Nella comunicazione inviata ai colleghi magistrati, i togati di MI spiegano che «nel sistema normativo vigente il magistrato non è eleggibile a sindaco o consigliere comunale nel territorio nel quale esercita le proprie funzioni, salvo che venga collocato in aspettativa prima del giorno fissato per la presentazione delle candidature. Non è prevista nessun’altra causa di ineleggibilità o di incompatibilità con la funzione giurisdizionale. Secondo il sistema normativo attuale, dunque, il magistrato può ricoprire la carica di consigliere comunale se svolge le funzioni giurisdizionali in un territorio diverso». In tale quadro, la circolare del Csm sulla mobilità, sottolineano i togati di MI, «è evidente che non può modificare le norme primarie». Quindi, «ben comprendiamo i profili di criticità che il caso può determinare - affermano Balduini, D’Amato, Miccichè e Braggion - e più volte in plenum ci siamo espressi chiedendo interventi chiari e più stringenti del legislatore circa l’ingresso in politica di magistrati e soprattutto sul loro rientro in ruolo, sul cosiddetto fenomeno delle "porte girevoli": rileviamo però - aggiungono - che l’auspicato intervento riformatore dei rapporti magistratura e politica non è ancora intervenuto, nonostante le ripetute sollecitazioni provenienti, in misura unanime, da tutta la magistratura associata e da tutte le componenti consiliari».

Riforma del Csm, le critiche di Di Matteo e Ardita

«La nuova legge elettorale per la elezione del Csm prevedrebbe un sistema bi-nominale con piccoli collegi. Questo farà sparire ogni possibile opposizione allo strapotere delle correnti che sottometteranno definitivamente i magistrati liberi che sono la maggioranza. Sarebbe il trionfo del correntismo e del bipolarismo che provocherà ulteriori spaccature e conflitti». Lo dichiarano i togati del Csm, Sebastiano Ardita e Nino Di Matteo, osservando che «la governabilità che si basa su maggioranze stabili è il peggior nemico dell’auto governo dei magistrati. Perchè sacrifica il merito e premia chi milita nei gruppi che hanno più numeri al Csm». «Esattamente l’opposto - aggiungono - di ciò che aveva pensato il Costituente nell’interesse dei cittadini che meritano una giustizia serena e indipendente: i magistrati sottomessi a un potere interno e non previsto dalla Costituzione».