Il caso Maresca, magistrato in servizio e contemporaneamente consigliere di minoranza a Napoli, è clamoroso. «Però attenzione: la legge non prevede problematiche ostative in questo caso. Bisogna aspettare una norma che detti delle condizioni precise». A dirlo è il laico del Consiglio superiore della magistratura Alessio Lanzi, d’accordo con l’idea di dire basta alle porte girevoli tra magistratura e politica. Ma per farlo serve un intervento del Parlamento e, dunque, che si realizzi quella riforma del Csm tanto attesa dal Presidente della Repubblica, ma per ora ferma al palo.

Consigliere, perché è possibile che il rappresentate di un potere dello Stato si ritrovi ad esercitare anche nell’ambito di un altro potere, che dovrebbe essere separato dal primo?

La legge non prevede problematiche ostative in questo caso. Bisogna aspettare una norma che dia delle condizioni precise. È chiaro che sono d’accordo anch'io che si tratti di un’anomalia: è difficile ipotizzare che, soprattutto un giudice - ma vale anche per un pm - rivesta una carica pubblica e al tempo stesso faccia il magistrato, perché il problema è quello dell’indipendenza e dell’imparzialità, che non solo ci deve essere, ma deve anche apparire all’esterno. Se si esercita un ruolo politico è chiaro che ci sono problemi in questo senso. Ma il problema è sempre quello della legalità: in una legislazione liberale, nella quale io credo e che dovrebbe essere alla base del nostro sistema e dello Stato di diritto, tutto quello che non è vietato è consentito. Quindi deve essere il legislatore, finalmente, a intervenire e fare chiarezza.

Il problema di Maresca si era posto già qualche tempo fa, quando ancora non erano state presentate le candidature e il procuratore generale di Napoli aveva chiesto al Csm di intervenire perché riteneva che l’ipotesi di una sua candidatura minasse la sua indipendenza e la sua imparzialità, chiedendone un trasferimento d’ufficio. Sul punto ci fu un’ampia discussione, ma io non ero d’accordo: le candidature non erano state ancora presentate e non si poteva trasferire un pm sulla base di voci. Adesso è altrettanto chiaro che ci sono dei problemi, ma la legge non prevede che non possa svolgere il ruolo da magistrato in uffici diversi da Napoli.

Il caso Maresca riporta però all’attenzione un tema che è rimasto sullo sfondo nel dibattito sulla riforma: le porte girevoli. È il momento di intervenire?

Dobbiamo sperare che il legislatore si muova e quindi intervenga sul fenomeno. La cosa migliore, per quanto mi riguarda, è che un magistrato che ha ricoperto una carica elettiva non rientri in servizio, uscendo dalla magistratura per transitare, ad esempio, nell’avvocatura dello Stato. Aspettiamo la proposta del governo, perché allo stato non è chiaro se il divieto, previsto dalle prime bozze di riforma, verrà mantenuto. Ma ciò deve valere anche per gli ingressi al Csm. Un altro tema è infatti impedire che facciano parte del Csm i politici di professione. Anche questa ipotesi era stata ventilata, ma non se ne parla più: non mi sembra che il nuovo progetto tenga in considerazione questa idea.

Perché è importante?

È chiaro che il parlamentare ha una connotazione politica ben definita. Non si equivochi il fatto che i cosiddetti laici vengono nominati dal Parlamento, perché i laici sono al Csm in rappresentanza della società civile, per evitare che il Consiglio, composto da soli magistrati eletti da magistrati, sia un doppione dell’Anm. I laici vanno scelti al di fuori dal Parlamento, perché altrimenti è difficile che si perda il senso della derivazione. Devono essere avvocati e professori che diano delle garanzie di preparazione, di terzietà e di capacità professionale.

Questi casi sono il sintomo di una pericolosa compenetrazione tra i due ambiti, politica e magistratura?

Il fatto è questo: la politica esprime il Parlamento, il quale formula le leggi e i giudici sono soggetti alla legge. Quindi i giudici applicano la legge, ma ne sono anche soggetti. È un problema di divisioni dei poteri. Quando c’è il fenomeno del giudice supplente, quello che amministra la giustizia in modo mirato, al di fuori dello schema della legge, la cosiddetta supplenza giudiziaria che interviene per colmare le lacune legislative, anche questa è un’invasione di potere, perché la legge è di pertinenza del Parlamento e il popolo sovrano è rappresentato dal Parlamento, non dalla magistratura. Però anche sul punto non sempre c’è chiarezza. Il Parlamento fa le leggi e i giudici le applicano, anche se poi per i pubblici ministeri è un altro discorso: io, come altri, sono per la separazione almeno delle funzioni. Lì c’è il problema dell’obbligatorietà dell’azione penale e non c’è un problema di sudditanza alla legge, per la prescrizione costituzionale, per questo nella legge delega sulla riforma del processo penale si prevede che sia il Parlamento a dettare i criteri di priorità per l’esercizio dell’azione penale.

E qui sono le toghe a lamentare un’invasione di campo.

E allora francamente bisogna essere chiari: l’invasione di campo non la fa il legislatore, perché spetta a lui emanare la legge e le toghe sono soggette alla legge. Lo decide il legislatore cosa abbia priorità, non lo decidono i pubblici ministeri. Nell’assetto costituzionale i poteri sono divisi in modo tassativo. Se il Parlamento è quello che fa le leggi non ci si può lamentare che dopo detti le priorità per l’azione penale. Purtroppo il problema è che il Parlamento, per molti aspetti, viene considerato come screditato, ma l’assetto costituzionale supera anche le contingenze del presente.

Per tornare al caso Maresca: il problema va dunque risolto.

Sì, ma legislativamente. Infatti anche coloro che in questo caso, al Csm, erano dichiaratamente contrari al doppio ruolo di Maresca non hanno votato negativamente, si sono astenuti. Deve essere il legislatore ad intervenire e io, a prescindere dai singoli, ho fiducia nel sistema dello Stato di diritto, che deve fissare con legge delle regole precise. Faccia questa legge e tolga tutta la cittadinanza da questo imbarazzo.