La nota della Camera Penale di Brescia sul film "Yara", in onda su Netflix, che ricostruisce la morte della giovane ragazza lombarda

Il film “Yara” in onda sulla piattaforma “Netflix” mette a nudo una subcultura diffusa molto pericolosa. Una condanna definitiva dovrebbe placare gli animi dei sostenitori del giustizialismo, che possono finalmente affermare la colpevolezza senza offendere la presunzione di innocenza. E invece no: regista e sceneggiatore del film riescono comunque a trasmettere un messaggio distorto sulla dinamica e sulla funzione di quel processo penale attraverso il quale si è giunti alla verità giudiziaria. Un processo in cui esiste solo una parte buona, la pubblica accusa, che è spinta e supportata dall’etica della ricerca della Verità (con la V maiuscola), contrapposta ad una parte cattiva e moralmente bassa, la difesa dell’accusato, una persona nell’ombra che il regista sa già risultare colpevole prima ancora di essere scoperta. Alla esaltazione del pubblico ministero (in questo caso donna, che deve persino combattere contro i pregiudizi all’interno del proprio ambiente) fa da controaltare quella immagine del difensore dell’imputato, un avvocato che semplicemente si attacca a dei “cavilli” per evitare la condanna del suo assistito, pur sapendo - come sanno tutti fin dall’inizio del film - che egli è colpevole e che si è macchiato del più orrendo dei crimini, l’omicidio di una ragazzina innocente e indifesa. Ora, se poco importa in questa sede che chi vede il film non possa conoscere gli argomenti con i quali la valenza probatoria e l’attendibilità del dna di “Ignoto 1” (cioè della prova regina) sono state contestate dalla difesa, a noi interessa molto invece e amareggia dover constatare ancora una volta che al pubblico sia stata trasmessa non solo una immagine ma soprattutto una idea sbagliata della funzione della difesa tecnica nel processo. E questo tramite una rappresentazione svilente e perfino caricaturale del ruolo svolto in quell’importante processo dall’avvocato difensore. Ad un regista con tanta esperienza come Marco Tullio Giordana - che, alla contestazione del difensore dell’imputato sul fatto di non essere stato consultato, ha risposto: “ho il massimo rispetto per la difesa, ma non so proprio cosa avrebbe potuto dirci di più” - ci permettiamo solo di ricordare che il ruolo fondamentale dell’avvocato è quello di assicurare la migliore tutela dei diritti di difesa del proprio assistito e ciò affinché la decisione del tribunale o della corte sia conforme a giustizia. Perché il nostro processo accusatorio è basato sulla dialettica e il confronto delle parti e perché solo il contraddittorio fornisce al giudice i presupposti per l’applicazione corretta della legge. In mancanza di una seria, preparata e attenta difesa mancherebbe, quindi, uno dei presupposti fondamentali per la stessa amministrazione della giustizia. L’avvocato non può essere rappresentato come figura negativa perchè difende. Ecco perché e dove, secondo noi, il film “Yara” degrada e incontra una delle icone dell’idea giustizialista del processo penale, contro cui non ci stancheremo mai di batterci, forti dei principi consacrati nella nostra Costituzione.