Ferma e unanime contrarietà da parte del mondo forense all'ipotesi di modifica contenuta nel ddl Bilancio - che approderà domani al Senato - che vincola l'iscrizione a ruolo al pagamento anticipato del contributo unificato. L'articolo 192 del disegno di legge ("Disposizioni in materia di contributo unificato") interviene infatti sull'articolo 16 del Testo Unico in materia di spese di giustizia introducendo l'obbligo per il personale di cancelleria di impedire l'iscrizione al ruolo del procedimento civile nel caso di verifica dell'omesso pagamento del contributo unificato, o nell'eventualità che il contributo versato non sia corrispondente al valore della causa dichiarato dalla parte. Una «disposizione di dubbia costituzionalità che subordina, in concreto, l’esercizio dell’azione giudiziaria al pagamento di una somma di denaro», secondo il Consiglio Nazionale Forense che esprime il proprio «netto dissenso» alla norma. «La giurisprudenza costituzionale – scrive il Cnf in una nota – ha a più riprese dichiarato l’illegittimità delle norme che condizionano l’esercizio dell’azione ad adempimenti ulteriori e che nel bilanciamento tra l’interesse fiscale alla riscossione dell’imposta e quello all’attuazione della tutela giurisdizionale, il primo è già sufficientemente garantito dall’obbligo imposto al cancelliere di informare l’ufficio finanziario dell’esistenza dell’atto non registrato, ponendolo così in grado di procedere alla riscossione». «Fermo rifiuto» anche da parte dell’Organismo congressuale forense, convocato in assemblea straordinaria sul punto per la giornata di domani. La riforma, spiega l'Ocf, «contrasta apertamente con l’articolo 24 della Costituzione» e, quindi, trova la «ferma contrarietà» dell'organo. «L’accesso alla giurisdizione deve essere assicurato a tutti, senza discriminazioni di censo e senza che l’entità dei costi costituisca elemento dissuasivo», spiega Giovanni Malinconico, coordinatore dell’Ocf, secondo il quale «si tratta di una disposizione che, col pretesto di combattere l’evasione, si mostra punitiva non tanto verso l’avvocatura, quanto verso gli utenti i cui diritti gli avvocati difendono col risultato che chi ha meno disponibilità economiche potrebbe rinunciare a chiedere giustizia: un ritorno al Medioevo». «Introdurre una norma che impedisce l'accesso alla giustizia (o può provocare la improcedibilità di una impugnazione contro una sentenza ingiusta) perché un contributo unificato non è stato pagato o lo è in maniera giudicata insufficiente da un cancelliere, è una forma di inciviltà che l'avvocatura non accetterà mai», spiega invece Antonio de Notaristefani, presidente dell'Unione Nazionale Camere Civili. «Ridurre i tempi della giustizia è un obiettivo di tutti, ed in primo luogo degli avvocati, che da quei ritardi sono pregiudicati più di chiunque altro. Ma i tempi della giustizia si riducono assumendo magistrati, non adottando strumenti di respingimento: l'articolo 24 della Costituzione non lo contente, ed è un principio di civiltà acquisito al patto sociale», spiega de Notaristefani. Per Antonino La Lumia, presidente del Movimento Forense, «si tratta di una disposizione abnorme: non soltanto lede i diritti costituzionali, ma soprattutto si inserisce in un costante percorso di disarticolazione del "sistema Giustizia", che sta portando la tutela dei diritti a cedere all'interesse economico». «Per questo – spiega La Lumia -, il Movimento Forense contesta fermamente questa forma mentis e invita Associazioni e Istituzioni forensi a prendere posizione contro questa iniziativa legislativa». Anche l'Associazione Italiana Giovani Avvocati (Aiga), esprime «forte preoccupazione e profondo disappunto» per la proposta di modifica al testo. «È inaccettabile - commenta il Presidente Perchinunno - subordinare l’accesso alla giustizia e la tutela dei diritti ad adempimenti meramente fiscali, il cui buon esito, peraltro, dipende molto spesso da disfunzioni legate a malfunzionamento dei sistemi di pagamento resi disponibili dal Ministero della Giustizia o da prassi dei singoli Tribunali difformi rispetto alle circolari interpretative emesse dallo stesso Ministero». Pertanto Aiga, si legge nella nota, «confida in un immediato “dietrofront” del Governo al fine di non intaccare oltremodo il diritto di difesa e il conseguente accesso alla giustizia da parte dei cittadini, già clamorosamente compromessi da un sistema giudiziario inidoneo a garantire il pieno rispetto e la completa applicazione dei principi costituzionalmente garantiti, a causa della inefficienza della organizzazione degli uffici giudiziari su cui si dovrebbe tempestivamente intervenire». Tra le associazioni specialistiche si fa sentire anche l'Unione nazionale Camere avvocati tributaristi: «Non si può che stigmatizzare la norma», si legge in una nota dell'Uncat. Oltre alla «incostituzionalità alla luce delle norme sul diritto di difesa, sul giusto processo e sull’accesso alla giurisdizione»,  suscita «sorpresa», per gli avvocati tributaristi, «la lettura della relazione di accompagnamento all’articolo 192. L’accesso alla giustizia, perché di questo si tratta, viene trattato in una sezione del ddl che riguarda le Entrate: pare che la logica della difesa dei diritti sia sistematicamente relegata ad una questione di cassa. La domanda che rivolgiamo al governo Draghi», si legge dunque nel comunicato dell'Unione tributaristi, «è se ritiene sostenibile, in un Paese che ancora riconosce se stesso come Stato di diritto, che si possa abdicare all’azione di tutela dei diritti per l’inefficienza di una procedura amministrativa di recupero delle spese eventualmente evase». «Il Governo mette con le spalle al muro il cittadino che intende rivolgersi alla giustizia per tutelare i propri diritti», commenta il Segretario generale dell’Associazione Nazionale Forense (Anf), Giampaolo Di Marco. «I profili di incostituzionalità di tale norma paiono netti; ancora più netta è la sgradevole sensazione di uno Stato che fa pagare le proprie inefficienze ai cittadini. La lotta all’evasione non si fa impedendo la attività alla stessa sottesa, ma la si fa organizzando un sistema in grado di recuperare tempestivamente i tributi evasi», spiega Di Marco. «Dura presa di posizione» anche da parte dei Consigli dell’Ordine degli Avvocati di Roma, Milano e Napoli che attraverso una nota congiunta si rivolgono al governo per «ritirare una norma che peraltro è stata surrettiziamente inserita nella Legge di Bilancio, così sottraendola al dibattito parlamentare per la costante applicazione del voto di fiducia». «In sostanza si demolisce un principio basilare dello Stato di Diritto posto a garanzia del sistema democratico e dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla Legge - commenta il Presidente del Coa romano Antonino Galletti - e si sancisce il principio inconcepibile per lo Stato secondo cui un processo non può essere celebrato e un diritto riconosciuto a causa del mancato pagamento di poche centinaia di euro». «Non solo - prosegue Galletti - .È altrettanto evidente che in tal modo si favoriscono le parti che hanno una maggiore disponibilità economica, rendendo più difficile l'accesso alla Giustizia per i meno abbienti». «Con il malcelato scopo di ridurre l'ingolfamento dei processi, si viene goffamente a creare una giustizia classista che è l'esatto contrario dello spirito e dei dettami costituzionali che informano il nostro ordinamento», conclude Galletti. Secondo l'Unione degli ordini forensi della Campania la disposizione «è assolutamente inammissibile e determinerà guasti e la mancata tutela dei diritti per omissioni meramente fiscali, contraddicendo l'insegnamento della Corte Costituzionale che in numerose pronunzie ha sempre distinto il regime degli effetti processuali e civilistici dell'atto da quelli meramente fiscali (Corte Costituzionale 6/12/2002 n. 522 e Corte Costituzionale 5/10/2001 n. 333)».