Martire in toga. Così può essere definito l'avvocato Serafino Famà. Il professionista venne ucciso a Catania in una uggiosa sera il 9 novembre del 1995. Aveva 57 anni e venne freddato all'uscita del suo studio. A sparare un killer della mafia. La sentenza di morte venne emessa dalla criminalità organizzata in quanto il legale catanese aveva fatto bene, fino all'ultimo, il suo lavoro, seguendo la deontologia e prima ancora la propria coscienza. Impegnato in un procedimento penale molto delicato, l’avvocato Famà volle dissuadere una sua assistita dal rendere una falsa testimonianza a favore di un criminale affiliato a Cosa nostra. Una falsa testimonianza che la criminalità pretendeva per esercitare ancora volta la propria forza prevaricatrice su tutti: comuni cittadini, avvocati, magistrati, uomini e donne delle Forze dell’ordine. Qualche anno dopo nelle motivazioni della sentenza di colpevolezza a carico degli imputati, pronunciata il 4 novembre 1999, la Corte di Assise di Catania si pronunciò con chiarezza usando queste parole: «Le risultanze processuali hanno dimostrato che il movente dell’omicidio in esame va individuato esclusivamente nel corretto esercizio dell’attività professionale espletata dall’avvocato Famà». Nel capoluogo etneo e in tutta la Sicilia è ancora vivo il ricordo di Famà non solo tra la classe forense. Parole piene di commozione sono state espresse da tutti gli esponenti dell’avvocatura siciliana. «Ricordiamo con grande emozione e trasporto Serafino Famà - dice Rosario Pizzino, presidente del Coa di Catania -, che, con la sua preparazione, correttezza e lealtà, ha impreziosito il Foro catanese. Ne siamo orgogliosi e, ancora una volta, in occasione del ventiseiesimo anniversario del brutale quanto insensato omicidio non possiamo non portare a conoscenza di tutti la sua figura». Il sacrificio di Famà deve fungere da esempio per i giovani togati. «Quella del nostro collega scomparso tragicamente - prosegue Pizzino - è un’eredità pesante, caratterizzata dalla massima attenzione ai doveri deontologici e dall’onestà. L’essere avvocato a tutti i costi, la volontà di non tradire l’etica forense, determinarono la fine dell’esistenza terrena del nostro collega Famà. La sua figura di uomo e professionista è un simbolo dell’autonomia e dell’indipendenza dell’azione professionale. Requisiti indispensabili per garantire al cittadino l’effettività della tutela dei diritti. Autonomia significa libertà, indipendenza nelle scelte difensive. Noi avvocati più anziani abbiamo l’onere di instillare ai giovani praticanti, con costanza e pervicacia, con l’esempio quotidiano, che la nostra attività è peculiare perché caratterizzata dalla doppia fedeltà: verso il cliente e nei confronti della legge». Per mantenere vivo il ricordo umano e professionale dell'avvocato ucciso nel 1995 la Camera Penale di Catania, che porta proprio il nome di Serafino Famà, ha organizzato una serie di iniziative che si concluderanno domani alla presenza del presidente dell'Ucpi, Giandomenico Caiazza. Si parlerà di riforma penale con gli avvocati Fabrizio Siracusano (Università di Catania), Aldo Casalinuovo del Foro di Catanzaro e Lorenzo Zilletti del Foro di Firenze e responsabile del “Centro studi Marongiu”.