Il 26 ottobre scorso il Tribunale di Tivoli ha compiuto vent’anni. Un segnale importante lanciato nel 2001, che avrebbe fatto i conti un decennio più tardi con una politica giudiziaria rivolta invece a sopprimere gli uffici giudiziari, tanto che il grido di dolore di molti territori, dopo la chiusura di diversi Tribunali, da Nord a Sud del Paese, si alza ancora forte.

Tivoli, parla il presidente del Coa

Il giovane Foro della città laziale guarda con fiducia al futuro e si sente particolarmente impegnato nelle sfide che riguardano tutta l’avvocatura anche se non mancano le contraddizioni che si trascinano dal 2001 ad oggi. «Il Tribunale di Tivoli – dice David Bacecci, presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati - è partito con un gravissimo peccato originale, ovvero il sottodimensionamento della pianta organica della magistratura e del personale amministrativo, dovuto ad un errore di valutazione iniziale da parte del ministero sull’effettivo carico di lavoro. A fronte di un bacino di utenza di circa 600mila abitanti e 75 Comuni avevamo in organico soltanto venti magistrati giudicanti. Probabilmente il rapporto più basso, a livello nazionale, tra numero di magistrati e utenza. Abbiamo ottenuto, dopo una lunga battaglia, un aumento della pianta organica, in maniera considerevole, ma ancora largamente inferiore rispetto alla media nazionale. Rimane drammatica, invece, la situazione del personale amministrativo e dell’Ufficio del Giudice di Pace».

A fare la differenza degli uffici giudiziari è un numero di risorse umane adeguato, come sottolinea il presidente del Coa di Tivoli. «L’aumento della pianta organica del personale amministrativo – evidenzia Bacecci - è un’emergenza che pregiudica l’efficienza del Tribunale di Tivoli. La situazione del Giudice di Pace ha dell’incredibile. Abbiamo tre Giudici di Pace per un territorio molto vasto con 600mila abitanti. Abbiamo da circa due anni segnalato e denunciato la situazione in tutte le sedi, ma non abbiamo avuto risposta concreta. Per non parlare del personale amministrativo sempre del Giudice di Pace, che, per la carenza di organici, ha dichiarato di non poter svolgere alcune funzioni. Si tratta di una situazione insostenibile che continueremo a denunciare».

Tivoli, quanti avvocati sono iscritti?

Gli iscritti all’Ordine degli avvocati di Tivoli sono 730 (nel 2020 erano 728) di cui 405 donne e 325 uomini. Quest’anno, fino ad oggi, i nuovi iscritti sono stati 15, mentre le cancellazioni sono state 14. Lo scorso anno, invece, hanno prevalso le cancellazioni dall’albo (18) sulle iscrizioni (13). Per quanto riguarda i praticanti se ne contano 108 fino ad oggi (l’anno scorso erano 117). Nel 2020 si sono cancellati 49 praticanti, mentre quest’anno (il dato è aggiornato al 27 ottobre) le cancellazioni sono state 35. Quasi identiche le iscrizioni dei praticanti ( 25 nel 2020, 26 nel 2021).

«Il Foro di Tivoli - commenta il presidente del Coa - ha un’età media molto giovane, intorno ai quarant’anni anni, ed è composto prevalentemente da donne, circa il sessanta per cento, così come il Consiglio dell’Ordine che rispecchia fedelmente, nella sua composizione, il Foro. Ho la fortuna di avere colleghi nel Consiglio che si dedicano ai lavori istituzionali con passione e dedizione. Abbiamo, tutti e undici, la medesima visione dell’avvocatura e del ruolo del Consiglio, che deve essere aperto alle esigenze dei colleghi, deve favorire la formazione professionale ed è chiamato a prestare loro ascolto nei momenti di difficoltà».

Quanto è impegnativo, per non dire difficile, operare in un Foro di provincia molto vicino alla capitale? «Le nostre – segnala il presidente Bacecci - sono le difficoltà di tutti gli avvocati italiani. In provincia abbiamo avvertito ancor più sensibilmente lo svilimento della figura dell’avvocato. Negli anni passati il rapporto con il cliente era assolutamente fiduciario, nel senso che quest’ultimo riponeva nell’avvocato assoluta fiducia per la risoluzione dei suoi problemi, stabilendo con lui una sorta di “fidelizzazione”».

I motivi delle cancellazioni dall'Albo

L’avvocato seguiva il cliente per tutto l’arco della sua vita. Oggi si è arrivati alla “spersonalizzazione” del rapporto avvocato- cliente ed il professionista è visto come un “tecnico”, che è chiamato a risolvere il singolo affare o il singolo problema. Non so se sia un’evoluzione positiva o meno, è solo una riflessione sociologica soprattutto per l’avvocatura di provincia. Per quanto riguarda i problemi quotidiani dell’avvocatura tiburtina, evidenzio prima di tutto quello relativo a occasioni professionali adeguate. Il problema reddituale è fortemente avvertito ed è, mi dispiace ripeterlo, la causa della fuga dall’avvocatura. Tutti i colleghi che si sono cancellati dall’albo lo hanno fatto con rammarico e tristezza perché la nostra è sempre una professione dove il profilo emotivo ed umano la fa da padrona e regala soddisfazioni non comparabili con altre attività lavorative. Ma purtroppo non si vive solo di soddisfazioni personali. È necessario essere concreti».

Il presidente Bacecci auspica un fronte comune dell’avvocatura per far sentire la voce su alcune problematiche che devono essere affrontate con determinazione e in maniera unitaria, senza mai dimenticare che la realizzazione della giustizia passa da tempi certi e ragionevoli. I legali pure dei Fori di ridotte dimensioni sono pronti a fare la loro parte. «Ritengo – conclude - il tema dell’equo compenso e la sua effettiva applicazione come la reintroduzione dei minimi tariffari battaglie da combattere per affrontare la crisi economica dell’avvocatura.

Crisi economica e processi lenti

La crisi economica dell’avvocatura è un tema poco considerato, ma che ha un grandissimo impatto sulla nostra categoria, soprattutto nei Fori del centro-sud Italia, ed è la causa della fuga dalla professione verso diverse collocazioni che danno una maggior certezza economica. Fare l’avvocato oggi è certamente più difficile rispetto agli anni passati sia per la crisi economica che per l’inefficienza del sistema giustizia. La lentezza dei processi ha una ricaduta negativa sull’avvocato, contrariamente a quanto l’immaginario collettivo possa ritenere, in quanto il cliente non ha più la capacità economica per far fronte al pagamento dei compensi legandoli alla lunghezza della causa. Il detto “causa che pende, causa che rende” è veramente un’illusione».