«Se vorrai, ti sosterremo». A questo doveva servire il vertice post disastroso risultato dei candidati del centro-destra alle Amministrative, e questo obiettivo è stato raggiunto. Meloni e Salvini hanno assicurato a Silvio Berlusconi il loro sostegno per la cosa alla quale il Cavaliere tiene di più: la corsa al Colle. La garanzia degli alleati di una coalizione che è tale solo nel comunicati ufficiali e nelle photo- opportunity, e che ha preso sottogamba proprio la recente débâcle elettorale, rischia di avere il sapore di una beffa.

I conti sono presto fatti: i Grandi Elettori dell’elezione per il Quirinale sono 1009 ( l’intero Parlamento più 59 rappresentanti delle regioni). Per essere eletti tra la prima e la terza chiamata servono 672 voti, che scendono a 505 dalla tornata successiva. Il centrodestra ha poco più che quattrocento voti ( i parlamentari dei tre gruppi sono in tutto 381). E anche se tutta, ma proprio tutta la parte di destra dell’Emiciclo votasse per Berlusconi - nonostante il voto segreto…- il risultato potrebbe essere quello di bruciare il Cavaliere alla prima votazione. Perché sì, come ipotesi di scuola una candidatura può anche crescere approcciandosi alla quarta chiama - quando per l’appunto si abbassa di molto il quorum.

Ma quello che tutti sanno è in una domanda retorica, sottesa in più di un retropensiero ogni volta che si affronta l’argomento: al di là dell’età, e con conclamata cagionevole salute, e ancorché recentemente assolto a Siena in uno dei vari processi Ruby, può l’Italia avere un capo dello Stato che è un condannato per frode fiscale ( perpretata tra l’altro mentre era a Palazzo Chigi)? Il ruolo e la funzione di massima garanzia - anche sul piano internazionale - porterebbe a escluderlo.

Ma il Cavaliere ci punta, non ne fa mistero, ed è sognando il Colle che compie ogni suo atto. Difende in pubblico Lamorgese ( che Salvini e Meloni attaccano quotidianamente), si professa europeista ( i suoi due alleati son sul fronte sovranista e nazionalista che la Ue tenta di picconarla), volantina foto sorridenti con Angela Merkel ( che nel 2011, se non si fosse poi dimesso, avrebbe spinto perché la trojka commissariasse l’Italia) o al vertice del Ppe che tenta di aprire a Salvini ( Salvini e lo stesso Ppe non ci pensano proprio). E azzoppa in un’intervista, alla vigilia dei ballottaggi, come impresentabili i candidati meloniani e salvinisti alla guida delle grandi città…

Il centrodestra ha fallito la prova delle amministrative perché ha selezionato le candidature con un metodo infallibile per perdere: coi veto reciproci sui candidati che avevano chance di vittoria, ma erano i candidati “degli altri”. Il Pd di Enrico Letta ha invece rovesciato quel metodo ( che nel tempo non era affatto estraneo al centrosinistra), ricompattandosi attorno ai sindaci con buona possibilità di vittoria: basti vedere il caso Roma, dove un partito balcanizzato ha trovato armonia anche attraverso una candidatura ( e vedremo se l’armonia reggerà, ma in genere essere al potere aiuta).

Ma se le Amministrative hanno squadernato lo stato interno alle forze politiche, e i disastrosi rapporti interni alle coalizioni, dato che il centrosinistra largo lanciato da Enrico Letta dovrà fare i conti col difficile percorso per affermare la leadership di Conte sul Movimento 5 Stelle, e orientarlo a guardare a sinistra e non a destra, è evidente che è dalle maggioranze che si formeranno per eleggere il capo dello Stato che uscirà la nuova forma della politica.

Si è subito detto, alla nascita del governo Draghi, che il portato collaterale sarebbe stato scompaginare e riaggregare le forze politiche, pure in un Parlamento in cui nell’ultima legislatura han già cambiato casacca, bandiera e partito ben 259 tra deputati e senatori ( la volta precedente erano stati 569). Ma in una situazione già così atomizzata, e nella quale quell’effetto che avrebbe dovuto avere il governo di “unità nazionale” ha in due parole finito per dimostrare che vi sono forze come la Lega che fanno opposizione al governo stando in maggioranza, e forze di opposizione al governo come quella guidata da Meloni che - per dirla come l’ha detta Salvini- fanno opposizione agli alleati di coalizione, è evidente che sarà l’elezione quirinalizia la forza centripeta della “ricomposizione” politica. E anzitutto perché ci saranno vincitori e vinti.

Se tra questi ultimi dovesse esserci proprio Silvio Berlusconi, si aprirà in maniera netta la caccia al suo elettorato di destra moderata, e che si proclama ( salvo cambiamenti sempre possibili) europeista. Un elettorato che fa gola a molti leader, anche per necessità, a cominciare da Matteo Renzi e Carlo Calenda. Ma non solo. A seguire, si aprirà la partita della legge elettorale, poiché anch’essa dipenderà dalle maggioranze che si saranno formate nell’eleggere il capo dello Stato. Per questo, bene sarebbe che vi fosse - come è sempre stato - una regia di quell’elezione: da condurre lanciando lo sguardo oltre il primo ostacolo. Perché poi la politica non è agire. La politica è sapere qual è la conseguenza di quell’agire.