Giovanni Guzzetta, professore di Diritto costituzionale a Tor Vergata, spiega che «la terribile ed esecrabile violazione dei diritti umani consumata su Giulio Regeni si confronta con l’applicazione del principio di civiltà giuridica degli ordinamenti costituzionali secondo i quali qualsiasi imputato, perfino il più efferato, ha diritto di difendersi». Ma aggiunge: «La vicenda dimostra che non è stato fatto abbastanza».

Professor Guzzetta, cosa rimane del processo, subito sospeso, sul caso Regeni?

Mi lasci dire che sono veramente colpito dalla compostezza della famiglia Regeni di fronte a questa vicenda. In questa società di politica urlata chiunque avrebbe potuto lasciarsi andare a manifestazioni scomposte, accusando la Corte d’Assise di formalismo o di essersi attaccata a un cavillo. Viceversa la risposta della famiglia mi sembra che inquadri in modo quasi paradigmatico questa vicenda, fotografando la distanza tra civiltà giuridica e barbarie.

Qual è il suo parere sulla decisione dei giudici?

Una terribile ed esecrabile violazione dei diritti umani, quale è stata quella che ha portato alla morte di Regeni, paradossalmente si confronta con l’applicazione del principio garantista proprio degli ordinamenti costituzionali secondo il quale qualsiasi imputato, perfino il più efferato, ha diritto di difendersi. E di conseguenza quindi è necessario che si abbia la certezza processuale di essere a conoscenza di un procedimento nei propri confronti.

Cosa emerge dalla vicenda, al di là della sospensione del processo?

Mi sembra una rappresentazione drammaticamente simbolica della distanza tra un paese fondato sullo stato di diritto e un contesto di sistematica violazione dei diritti umani. Proprio questa decisione mette ancora più in luce come questa la distanza non sia solo giudiziaria, anzi forse è quella che meno dovrebbe interrogarci. Il punto vero è un altro.

Quale?

Quando la magistratura presenta decine di rogatorie internazionali, veicolate attraverso il governo nazionale, e non c’è mai risposta, questo è uno schiaffo nei confronti del governo italiano prima che nei confronti della magistratura. Così come quando il Parlamento europeo adotta più di una risoluzione per chiedere chiarezza e verità al governo egiziano sulla vicenda e nulla accade, anzi proprio sul tema dell’individuazione degli indirizzi degli imputati al fine di notificare loro l’esistenza di un processo e consentire loro di difendersi si assiste a un nulla di fatto, vuol dire che siamo ben oltre la vicenda giudiziaria.

Pensa che l’Italia si sia ritrovata da sola?

La domanda che dobbiamo porci è: dove è l’Europa? Perché questa è una vicenda che implica i rapporti tra gli Stati e la politica estera. Implica una scelta tra le ragioni di Stato e la tutela dei diritti umani. Con l’Egitto, che ha una collocazione geopolitica ben nota, sussistono rapporti economici che qualcuno definirebbe strategici. La questione è fino a che punto questi possono tollerare quanto sta accadendo. Questo è al contempo, per l’Europoa, un segno della sua enorme debolezza e un banco di prova.

Quali altre strade si possono percorrere?

Non conosco i dettagli processuali ma mi sembra che nel momento in cui non si riesce a dare prova della conoscenza del processo agli imputati non ci siano molte strade. Viceversa penso ci siano molte strade diplomatiche per rendere ancora più costosa al governo egiziano questa posizione di radicale ostruzionismo. Per adottarle è necessario avere una forte determinazione e autorevolezza che viene anche dall’appartenenza all’Unione europea, un attore importante dell’equilibrio geopolitico mondiale.

Dalla quale però non arriva la necessaria solidarietà. Pensa che sia il premier Draghi, a dover sfruttare di più la sua autorevolezza in campo internazionale?

Sono certo che lo stia già facendo. Il problema è che l’Italia è collocata all’interno di alleanze politiche e strategiche che giustificherebbero una forte azione comune. Purtroppo riscontriamo ancora una debolezza strutturale della politica estera e della diplomazia europea. Quando le strategie nazionali dei vari paesi europei e delle grandi potenze alleate non convergono sufficientemente a sostegno di un partner come l’Italia, non è solo l’Italia a doversene dolere. Sono gli interessi comuni a venir trascurati. La vicenda di oggi dimostra che non è stato fatto abbastanza. Non spetta a me dire cos’altro si può fare ma l’insufficienza delle misure adottate finora pare evidente. È necessario trovare altre strade.