Prima ancora che la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, mandando su tutte le furie la già agitata di suo Giorgia Meloni, spiegasse alla Camera perché avesse lasciato indisturbato il pur abusivo, daspato e quant’altro forzanovista spintosi sabato scorso ad annunciare e poi guidare una spedizione punitiva contro la sede della Cgil, cioè per evitare il surriscaldamento della piazza romana, avevo letto qualcosa di analogo sulla piazza milanese detto da un magistrato che ne occupa per ragioni di ufficio. E’ Alberto Nobili, intervistato dalla Stampa il giorno prima proprio per la sua competenza in materia di teste calde che danno filo da torcere alle forze dell’ordine con disordini nei quali può capitare che esca fuori anche il morto, mancato per fortuna stavolta sia a Milano che a Roma.

“Queste manifestazioni - ha detto Nobili nell’intervista pubblicata proprio la mattina in cui la ministra si preparava ad andare alla Camera, magari influendo involontariamente sulla titolare del Viminale - distruggono uno dei cardini della nostra civiltà che è il contraddittorio, sedersi intorno a un tavolo e discutere per cercare una soluzione. L’infiltrazione di persone violente che non sono portate alla dialettica ma alla prevaricazione è un problema per qualsiasi forma di democrazia. Mi auguro che si riesca a recuperare il dialogo con queste persone. Che, tra i cinquemila manifestanti milanesi venga selezionato un gruppo di delegati con cui le istituzioni possano parlare e cercare delle soluzioni”.

Fra i cinquemila manifestanti milanesi come fra i diecimila manifestanti romani di sabato in Piazza del Popolo e dintorni, mi era venuto spontaneo di pensare leggendo l’intervista di Nobili e sovrapponendole il ricordo dell’accaduto nella capitale con l’aggravante del Masaniello di turno lasciato libero di programmare la spedizione contro la Cgil. Intanto qualche funzionario del Viminale, o simile, allungava forse lo sguardo sulla folla per individuare i componenti di una delegazione di cui raccogliere malumori e richieste. E vedere di convincere i dimostranti a raggiungere i loro obiettivi senza fare tanto casino, diciamo così. “Il loro lavoro - ha detto ancora Nobili parlando degli uomini della Polizia e della Digos impegnatisi a Milano a fronteggiare problemi di piazza, e ricorsi tuttavia alla fine anche a un po’ di arresti- è fondamentale. Non è facile gestire cortei non autorizzati per dodici settimane di fila. L’obiettivo diventa quello di ridurre al minimo qualsiasi forma di violenza. Il principio è che quando non puoi riportare l’ordine che è stato violato da cinquemila persone devi saper gestire il disordine, E questo è stato fatto con saggezza e intelligenza”.

La fortuna di Nobili è di lavorare a Milano. Dove tutto si può dire e pensare della magistratura di cosiddetta prima linea- sperimentata, per esempio, ai tempi di Tangentopoli e “Mani pulite” con arresti gestiti in modo scriteriati come quello del povero Gabriele Cagliari, uccisosi pur di uscirne- ma non che abbia la tendenza, diciamo così, a scambiare la “gestione del disordine”, come l’ha chiamata appunto Nobili, per collusione o trattativa. Ecco la parola magica: trattativa. Che è quella necessaria, secondo il valente magistrato milanese, a individuare nei disordini di piazza le motivazioni della protesta per riassorbirla e non farla degenerare in reati. Ma che una trentina d’anni fa tra Palermo e Roma, quando un nugolo di onorati e validi servitori dello Stato finsero di ricorrervi per interrompere qualcosa un tantino più grave come la stagione delle stragi mafiose e catturarne i responsabili, furono prima sospettati, poi accusati con l’aiuto dei soliti pentiti, processati e condannati in prima istanza per complicità con la mafia nel reato di violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato. E quando in appello sono stati assolti, e condannati solo i mafiosi che avevano provato davvero a inginocchiare lo Stato insanguinando il Paese, quei magistrati che avevano preso lucciole per lanterne non si sono per niente dati pace.

Essi, compreso l’ormai ex Antonio Ingroia, mancato presidente del Consiglio per bocciatura elettorale, continuano a gridare contro la trattativa, pronti con spirito a dir poco suicida a ricorrere alla Cassazione: la stessa che li ha già smentiti confermando l’assoluzione di un altro imputato - l’ex ministro Calogero Mannino - lasciatosi giudicare per sua fortuna col rito abbreviato, sia pure per modo di dire. Egli infatti ha potuto uscirne pulito come meritava otto anni dopo la richiesta di rinvio a giudizio, per non parlare di tutti gli altri processi, sempre di mafia, ugualmente risoltisi a suo favore.

Mi rendo conto del salto compiuto nel mio ragionamento dalla banale vicenda della dimostrazione no- vax del 9 ottobre a Roma, pur con l’assalto alla sede della Cgil e tutte le complicazioni politiche che ne sono seguite, all’affare addirittura della stagione stragista della mafia di una trentina d’anni fa. Ma non dimentichiamo che la cornice giudiziaria nella quale scorrono i piccoli e grandi drammi del Paese è sempre la stessa perché questo continua ad essere il sistema della giustizia italiana. In cui alla ministra Lamorgese potrebbe accadere di essere accusata di “strategia della tensione” non solo da una furente Giorgia Meloni nell’aula di Montecitorio, com’è avvenuto, ma anche da un inquirente fantasioso seduto alla propria scrivania.