La fase uno del governo Draghi è ufficialmente terminata due giorni fa, ad appena 24 ore dalla chiusura delle urne delle amministrative. L'esito di quel voto ha inciso a fondo sulla stabilità del governo e il primo a rendersene conto è stato proprio Draghi, più lucido dei molti commentatori secondo i quali il governo sarebbe stato rafforzato da quell'esito. Lo sbigottimento del premier di fronte a una simile analisi, nella conferenza stampa lampo di mertedì pomeriggio, era palese: e perché mai una sconfitta della Lega avrebbe dovuto stabilizzare la maggioranza? In tutta evidenza l'effetto non poteva che essere opposto e lo si è visto subito, con un Salvini che sembra puntare i piedi sulla riforma fiscale come altre volte aveva fatto inutilmente in precedenza. Ma con una differenza che lui stesso sottolinea, quasi di sfuggita: Qui si tratta di tasse e portafogli. Mica è il Green Pass. Stavolta non si tratta solo di propaganda e stavolta gli azionisti di maggioranza del Carroccio, il partito del nord, sono direttamente coinvolti e interessati. Lo scontro non è più duro delle altre volte: è vero, mentre in tutte le precedenti occasioni era solo una messa in scena. La mazzata presa da Salvini non è il solo elemento destabilizzante di queste elezioni. Il M5S ne è uscito malissimo, decisamente peggio del previsto. Significa che l'auspicato effetto Conte. L'ex premier ha riempito le piazze, non il carniere elettorale. Quello è vuoto. Conte, popolarissimo come premier ma meno dotato anche scenicamente come politico, era l'ultima speranza del M5S, l'appiglio per restare in campo non più da protagonisti assoluti ma neppure da comprimari minori. In un Movimento che resta lacerato e diviso, come il caso dei ballottaggi a Roma e Torino attesta, la consapevolezza di non poter sperare più nel miracolo di san Giuseppi potrebbe avere un effetto deflagrante e probabilmente alla lunga lo avrà. Il successo di Calenda a Roma, che vede la sua lista al primo posto, e il dilagare dell'astensione sono poi un problema per il pur vittorioso Pd. Il partito di Letta ha bisogno del bipolarismo, perché solo il bipolarismo lo premia, sia in nome del voto utile che per la tendenza a far convergere i voti sulle forze più moderate e affidabili, almeno apparentemente, sul piano dell'amministrazione. Ma il bipolarismo, in Italia, era fatiscente anche quando era vero e stavolta è posticcio. La paura che di qui alle elezioni spunti fuori un nuovo terzo polo, stavolta moderato, al Nazareno è già un incubo. La possibilità che, in un anno e mezzo, finisca per essere modificata in senso proporzionale la legge elettorale, affossando così il miraggio di un nuovo bipolarismo, è altrettanto spaventosa. Dunque nel Pd cresce la tentazione di correre al voto subito dopo l'elezione del prossimo capo dello Stato, per non dare tempo a quel per ora solo molto virtuale terzo polo di concretizzarsi. Però le conseguenze del voto amministrativo e gli spostamenti che determinano nel quadro politico sono solo una parte del problema e non la più allarmante per palazzo Chigi. Il problema più serio è che sin qui Draghi se l'è dovuta vedere soprattutto con la campagna di vaccinazione e, nonostante il chiasso dei No Vax, era una strada tutta in discesa. La stragrande maggioranza della popolazione, inclusi i No Green Pass, voleva che la vaccinazione avesse successo e si è adoperata di conseguenza. I problemi creati a puro scopo di propaganda da FdI e dalla Lega sono stati sassolini fatti passare per macigni e non poteva essere i. In questa prima fase Draghi ha proseguito e portato alle estreme conseguenze il metodo decisionista, commissariale, già inaugurato da Conte e nessuna forza politica si è opposta, essendo il successo pieno della campagna di vaccinazione interesse in realtà di tutti. Adesso però tutto cambia. La sfida non è più sulla sanità ma su scelte che toccano interessi diretti e diversi. In prospettiva ci potrà anche essere un traguardo comune del Paese intero, ma nell'immediato qualcuno è destinato a essere penalizzato e qualcun altro a essere invece avvantaggiato. Anche per quanto riguarda le basi elettorali dei partiti, gli interessi si divaricano, a differenza di quanto si verificava sulla sanità e i vaccini. L'idillio era destinato a finire comunque con l'avanzare dell'autunno. Il voto di ottobre ha solo reso le cose più veloci e più drammatiche.